Il diritto di visita dei genitori separati/divorziati ai tempi del Coronavirus.

Dopo l’ordinanza del Ministero dell’Interno e della Salute del 22.03.2020, che riguarda il divieto di spostamento tra Comuni diversi, come comportarsi in ordine al diritto di visita dei figli minori?
Qualche consiglio per i genitori separati e divorziati… spero possa essere utile.

Percorso di sostegno alla genitorialità in fase di separazione e divorzio. Il sì della Corte di Cassazione. Riflessioni a margine della sentenza della Corte di Cassazione del 06 maggio 2019 n. 11842.

L’invio della coppia in mediazione familiare come strumento di sostegno della genitorialità è una delle misure che ben può essere adottata dal Tribunale per salvaguardare il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La corretta interpretazione della disposizione richiamata, infatti, impone agli Stati contraenti non solo di astenersi da ingerenze arbitrarie nella vita familiare (i c.d. obblighi negativi), ma anche di adottare i c.d. obblighi positivi, diretti ad assicurare l’effettivo rispetto della vita privata e familiare; obblighi che possono implicare la predisposizione di interventi che permettano il corretto mantenimento delle relazioni genitoriali e che non implicano esclusivamente che le autorità vigilino affinché il minore possa mantenere contatti con entrambi i genitori separati, comprendendo piuttosto tutte le misure propedeutiche al raggiungimento di questo risultato, fornendo risposte non deboli, tempestive ed adeguate al caso concreto. Per essere adeguate, le misure deputate a riavvicinare il genitore non collocatario con il figlio minore devono essere attuate rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui. Non deve, dunque, trattarsi di misure stereotipate ed automatiche. (vd. Corte Eur. Dir. Uomo, sez. II, sentenza 29 gennaio 2013 – causa Lombardo c. Italia; Corte Eur. Dir. Uomo,  sentenza 17 novembre 2015 – causa Bondavalli c. Italia; Corte Eur. Dir. Uomo sentenza 23 marzo 2016 – causa Strumia c. Italia; Corte Eur. Dir. Uomo sentenza 15 settembre 2016 – causa Giorgioni c. Italia).

A questa chiave di lettura, per così dire convenzionalmente orientata, anche ai sensi dell’art. 117 Cost. (che impone il rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) può essere ricondotta la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 11842 del 02 aprile – 06 maggio 2019 in materia di separazione personale tra coniugi. La Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali, per superare le difficoltà relazionali riscontrate nella coppia genitoriale in fase di separazione, avevano ritenuto opportuno che i genitori intraprendessero un percorso di mediazione familiare, disponendo testualmente che il consultorio “prenda in carico il nucleo familiare e predisponga un percorso di sostegno psicologico della minore e di supporto alla genitorialità di entrambe le parti“, e ciò a tutela del pieno interesse della minore. Tale decisione deve ritenersi compatibile con il rispetto dell’altrui diritto soggettivo genitoriale, in questa materia – chiarisce la Suprema Corte – subordinato al preminente interesse del minore che, nel caso di specie era a rischio di pregiudizio per l’elevata conflittualità genitoriale, sulla quale tuttavia era possibile incidere positivamente proprio mediante l’attivazione di un percorso di mediazione familiare a sostegno della genitorialità, al fine di prevenire ulteriori gravi danni al minore.

Naturalmente, il percorso di mediazione familiare è e rimane volontario; quindi anche quando la coppia arriva in mediazione su sollecitazione del Tribunale, è la coppia medesima, che dopo il primo incontro informativo con il mediatore, ha facoltà di decidere se intraprendere e/o proseguire il percorso mediativo e, dunque, di decidere liberamente e responsabilmente se darsi o meno l’opportunità di vivere e gestire la separazione con consapevolezza e maturità, soprattutto nell’interesse dei figli.

Il mediatore familiare è un “traghettatore” della comunicazione, come lo definisce icasticamente il prof. Vittorio Cigoli, una guida che orienta le parti a trovare da sé soluzioni condivise, sviluppando e valorizzando la loro autonomia decisionale e negoziale. Ruolo del mediatore è “stare nel mezzo” per motivare e spronare senza manipolare. Il mediatore familiare non difende e non rappresenta nessuno dei due componenti della coppia che sono posti su un piano di assoluta parità tra loro; è un terzo imparziale, che in un contesto neutrale e confidenziale, in assoluta autonomia dall’ambito giudiziario e nella garanzia del segreto professionale, li aiuta a riorganizzare la propria vita dopo la separazione senza delegare a terzi le proprie scelte in ordine a tutti gli aspetti, relazionali e patrimoniali della separazione nonché inerenti alla cura ed all’educazione dei figli. Tanto, sul presupposto che anche dopo la separazione si rimane genitori sempre, non vi siano un perdente ed un vincitore, ma entrambi i genitori ne escano vincenti insieme. Il mediatore non giudica, non dà consigli, non suggerisce soluzioni, aiuta i mediandi a trovare essi medesimi le soluzioni più atte a soddisfare le esigenze di tutti i componenti della famiglia, compresi i figli, nella diversa dimensione di genitori separati.

Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione precisa, altresì, che irrilevante e inconferente è il richiamo, operato daI ricorrente, ad una precedente pronuncia della stessa Corte di Cassazione, la sentenza n. 13506 del 05 marzo – 11 luglio 2015, laddove riteneva contraria e lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari obbligatori (art. 32 Cost.), la decisione dei giudici di merito che aveva prescritto ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e di coppia.

In quel caso, la coppia aveva già intrapreso un percorso di mediazione familiare, tuttavia, fallito a causa della condizione di immaturità della coppia genitoriale, rilevata in sede di CTU, che impediva il reciproco rispetto dei rispettivi ruoli stante l’elevato livello di conflitto personale. Pertanto, mentre il percorso di sostegno alla genitorialità che può essere realizzato attraverso un percorso di mediazione familiare è funzionale a garantire la centralità del minore nella vicenda separativa e  la tutela del suo diritto a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori ancorché separati, il percorso psico-terapeutico, pur se in ultima analisi funzionale a garantire il benessere psico-fisico del minore, ha una finalità che esula dai poteri del giudice ed è estranea al giudizio, ossia quella di realizzare una maturazione personale dei genitori che deve rimanere affidata al loro diritto di autodeterminazione.

Il mediatore familiare, del resto, non svolge sedute di terapia di coppia, in quanto non ha come obiettivo il mantenimento o la ricostituzione del legame coniugale o di fatto, ma quello di garantire la continuità della funzione genitoriale in presenza di una volontà di separazione/divorzio espressa dalla coppia stessa.

L’Avv. Emanuela Palamà su Radio Manbassa, puntata del 19.05.2019

L’Avv. Emanuela Palama’, intervistata dallo speaker Ronny Trio di Radio Manbassa, in questa puntata ha parlato della sorte della casa coniugale in caso di separazione e delle recenti novità in tema di assegno divorzile.

L’Avv. Emanuela Palamà su Radio Manbassa, puntata del 14.04.2019

L’Avv. Emanuela Palama’, intervistata dallo speaker Ronny Trio di Radio Manbassa, in questa puntata ha parlato di come gestire i periodi di vacanza con i figli minori (estate, Natale, Pasqua, ecc..); da quale età è consentito il pernotto del figlio minore presso il genitore non convivente; spese ordinarie e straordinarie per i figli.

Revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

IN ASSENZA DI FIGLI VA REVOCATA L’ASSEGNAZIONE ALLA MOGLIE DELLA CASA CONIUGALE DI PROPRIETÀ DI ENTRAMBI I CONIUGI, SE NELL’ACCORDO DI SEPARAZIONE IL PERIODO DI GODIMENTO DELL’ABITAZIONE È STATO LEGATO ALLA QUANTIFICAZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO (CASS. ORDINANZA N. 7939 DEL 20 MARZO 2019).

IL CASO: Un uomo adiva il Tribunale di Novara per chiedere, unitamente alla pronuncia della sentenza di divorzio, la revoca del godimento della casa coniugale assegnata alla moglie, in assenza di figli, in conformità all’accordo di separazione precedentemente raggiunto tra i coniugi. Tale accordo, in particolare, aveva creato un legame tra l’utilizzo della casa familiare e la quantificazione dell’assegno di mantenimento alla moglie, assegno che, difatti, veniva determinato consensualmente nella somma di euro 1.250,00 fino al momento della vendita dell’abitazione e, dopo tale evento, aumentato ad euro 2.000,00, comunque per la durata di tre anni. Sulla base di tale accordo, dunque, il giudice del divorzio revocava l’assegnazione della casa coniugale alla moglie, ritenendo non sussistenti i presupposti di legge per la conferma, in sede di divorzio, della sua assegnazione in assenza di figli.
La moglie impugnava la sentenza del Tribunale innanzi alla Corte d’Appello di Torino, chiedendo l’accertamento dell’inammissibilità della pronuncia di revoca dell’assegnazione della casa coniugale. La Corte tuttavia respingeva l’impugnazione proposta e confermava la sentenza di primo grado, osservando che l’accordo di separazione tra i due coniugi avesse unito la quantificazione del mantenimento della moglie all’utilizzazione della casa, trovando dunque causa nella separazione prima e nel divorzio poi, essendo diretto ad assolvere i doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alla cessazione della convivenza.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE: La signora promuoveva ricorso per cassazione lamentando che la sentenza impugnata avesse erroneamente negato la natura meramente negoziale, occasionata dalla separazione ma non causata da quest’ultima, della concessione in godimento dell’abitazione in comproprietà tra le parti, affermando l’esistenza di un nesso tra l’uso dell’immobile e la quantificazione dell’assegno di mantenimento. La Corte di Cassazione respingeva le doglianze della ricorrente, ritenendo che la Corte d’Appello avesse correttamente interpretato l’accordo di separazione tra i coniugi e, dunque, rigettava il ricorso.
Tale pronuncia si segnala, da un lato, perché riconduce la clausola del godimento della casa familiare al contenuto necessario dell’accordo di separazione tra i coniugi e, dall’altro, perché conferma la previsione anche in sede di divorzio di un assegno di mantenimento “a tempo” (per la durata complessiva di 36 mesi dalla cessazione del godimento dell’abitazione), al fine di evitare, evidentemente, rendite parassitarie a danno dell’ex coniuge obbligato e a favore di quello beneficiario.

L’Avv. Emanuela Palamà su Radio Manbassa, puntata del 24.03.2019

L’Avv. Emanuela Palama’, intervistata dallo speaker Ronny Trio di Radio Manbassa, ha parlato di affidamento e collocamento dei figli minori in caso di separazione; come informare i figli della decisione di separasi; del diritto “di visita” dei nonni verso i nipoti.

Mediazione Familiare: l’inizio del mio viaggio alla scoperta di un nuovo mondo.

Perchè credo nella Mediazione Familiare

Sono un avvocato e mi occupo della tutela dei diritti delle persone, delle famiglie e dei minori.
Ho amato questa branca del diritto sin dai tempi universitari, tanto da aver scelto come argomento di discussione della mia tesi di laurea quello sulle coppie di fatto.
Ho sempre avuto una spiccata sensibilità e nutrito profondo interesse per le vicende umane, in particolare per quelle che conseguono alla disgregazione dell’unità familiare, dove fanno da padrone, assai spesso, il dolore, la sofferenza, la rabbia, il senso di fallimento e di frustrazione di uno o di entrambi i componenti della coppia che si separa.
Nell’esercizio della mia attività professionale mi adopero per tutelare al meglio la posizione del mio cliente, senza dimenticare, tuttavia, che i figli della coppia, soprattutto se minori, pur non essendo attori in prima persona della vicenda separativa dei propri genitori, ne subiscono inesorabilmente gli effetti, senza avere, peraltro, la possibilità di far conoscere i propri sentimenti e bisogni, i propri desiderata ed emozioni.
E’ vero che oggi, a seguito della riforma della filiazione introdotta nel tessuto normativo del codice civile dalla L. n. 219/2012 e dal successivo D.Lgs. n. 154/2013, è stato espressamente riconosciuto al figlio minore che abbia compiuto i dodici anni, o anche di età inferiore se capace di discernimento, il diritto di essere ascoltato in tutte le questioni che lo riguardano, ma l’ascolto di cui ha vero bisogno il minore è, soprattutto, quello dei propri genitori, che invece, il più delle volte, rimangono sordi alle sue istanze, concentrati e ripiegati come sono su se stessi e sulle proprie emozioni negative legate al momento della crisi e della separazione.
La condizione più dolorosa per un figlio è quella di sentirsi conteso tra genitori in guerra, di non sentirsi accolto né ascoltato ma strumentalizzato per i fini egoistici dei propri genitori, accecati dalla rabbia e dall’astio reciproco.
In casi siffatti, accade, purtroppo di frequente, che un genitore cerchi, e costruisca un vero e proprio rapporto di alleanza col figlio, “tirandolo” dalla sua parte, mettendo in atto su di lui una subdola opera di condizionamento psichico o di vera e propria manipolazione psicologica, tesa alla denigrazione dell’altro genitore ed al conseguente allontanamento del figlio, che può arrivare fino al vero e proprio rifiuto indotto del genitore alienato e della rete parentale ad esso legata (nonni, zii, cugini, ecc.): tutto ciò, ancora una volta, a discapito del superiore diritto del minore a ricevere sia dalla mamma che dal papà, non solo il mantenimento economico, ma anche e soprattutto l’affetto, l’educazione, l’istruzione e tutte le cure necessarie a preservare e consolidare il suo legame affettivo con ciascun genitore, a garantirne una sana ed equilibrata crescita psico-fisica, mantenendo rapporti continuativi anche con i nonni e con tutti i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Devo ammettere che, da avvocato, ho provato più volte un senso di insoddisfazione, poiché nonostante tutti gli sforzi profusi ed i risultati raggiunti nell’interesse del cliente, ho potuto constatare quanta amarezza, indecisione, vulnerabilità affettiva ed emotiva accompagnino quasi sempre la coppia che si separa, senza, in ogni caso, poter offrire soltanto con il diritto una adeguata e soddisfacente risposta ai problemi relazionali che ne conseguono.
Ed anche nei casi in cui sono riuscita ad evitare un contenzioso, assistendo uno o entrambi i coniugi nel raggiungimento di un accordo sulle condizioni della separazione o del divorzio, ho constatato come quasi sempre siano rimasti irrisolti gli aspetti connessi alla capacità delle parti di relazionarsi adeguatamente e/o nel rispetto delle reciproche esigenze; anzi, la concreta difficoltà nel gestire i rapporti tra di essi e/o con i propri figli, pur a seguito di una separazione consensuale o di un divorzio non contenzioso, diviene talvolta fonte di nuove tensioni e di nuove liti.
Sulla base della mia esperienza professionale, ho maturato il convincimento che gli operatori del diritto, siano essi avvocati e/o magistrati, per quanto sensibili e portatori di grandi doti umane, non hanno né gli strumenti né le abilità proprie del professionista della relazione d’aiuto, necessarie per “accompagnare” la coppia nel “sostare” nel conflitto, per gestirlo e superarlo in modo costruttivo, soprattutto nell’interesse dei figli.
Le fredde aule dei tribunali non sono il luogo più adatto per accogliere i sentimenti e le emozioni, nel mentre le coppie che si separano disvelano chiaramente il bisogno di sentirsi accolte e comprese nel loro dolore, nella loro sofferenza, nel senso di frustrazione, di smarrimento e di fallimento che provano per essere giunti, loro malgrado, all’epilogo della propria storia d’amore.
Un amico, che chiameremo Alessandro, separato dalla moglie da circa sei anni con due figli, parlandomi della sua vicenda mi ha detto: “Il giorno della mia separazione è stato per me quello più triste. E’ stata una separazione consensuale, ma mi ha fatto male constatare che il mio matrimonio durato circa dieci anni ed allietato dalla nascita di due splendidi figli, e che, sia pure con alti e bassi, ha visto momenti felici, si sia ridotto, al momento della separazione, ad una questione meramente economica … ho provato tanta tristezza… Ho dovuto accettare le condizioni imposte da mia moglie, poiché era ferma sulle sue posizioni e non mi ha lasciato altra scelta, interessata com’era solo a spillarmi quanti più denari possibile … Oggi i nostri rapporti sono freddi; pensa che io non sia un buon padre, eppure i miei figli mi adorano; non riusciamo a parlarci; comunichiamo tramite sms, perfino la separazione è avvenuta tramite sms … eppure ci sono due figli … ”.
La storia di Alessandro è una delle tante vicende che vivono molte coppie che si separano, in realtà solo apparentemente in modo consensuale, poiché alla fine di accordi davvero condivisi e mutuamente accettati vi è ben poco se non proprio nulla.
Forse, se Alessandro e la moglie si fossero rivolti ad un mediatore familiare ed avessero intrapreso il percorso mediativo, i loro rapporti oggi sarebbero diversi ed anche i loro figli sarebbero più sereni.
Mi piace pensare plasticamente alla mediazione familiare come ad un quadro tridimensionale, o meglio ad uno stereogramma, che disvela le figure o le immagini in esso contenute solo agli occhi dell’attento osservatore che non si limita a guardare la superficie del disegno, ma spinge lo sguardo in avanti fino a che non scorge ciò che esso “nasconde” in profondità. Quando ci si predispone ad osservare uno stereogramma, e ci si perde nell’immagine che si ha di fronte, avviene il massimo del rilassamento fisico e una grande soddisfazione psichica.
E’ ciò che accade, in qualche modo, durante il percorso di mediazione familiare, in cui il mediatore aiuta le parti a spingersi al di là delle rispettive e spesso contrapposte posizioni, alla “scoperta” del proprio vissuto personale e di coppia, ma anche dei disagi e delle incomprensioni reciproche, per capirne i bisogni e individuare gli interessi comuni; ciascuno dei mediati, in tal modo, attraverso la sapiente guida del mediatore familiare – professionista qualificato terzo, imparziale ed in posizione neutrale -, impara, per usare le parole di Maria Martello (nota mediatrice familiare), “a «sostare» nei conflitti, a comprendere l’altro senza sovrastarlo, un modo nuovo di ascoltarlo” .
Ma la straordinarietà del percorso mediativo si è rivelata ai miei occhi nel momento in cui, animata dalla voglia di esplorare più approfonditamente il mondo della mediazione familiare e di comprenderne meglio i contenuti e le modalità operative, ho deciso di formarmi io stessa come mediatrice familiare per acquisire nuove competenze: accogliere l’alterità, comprendere ciò che sente e caratterizza l’altro, ascoltarlo e comprenderne i bisogni, creare fiducia ed empatia, trovare il giusto equilibrio nelle situazioni per gestire le emozioni ed apprendere “l’arte di mediare”, competenze tutte maturate anche attraverso un processo di introspezione personale sollecitato dal percorso formativo intrapreso, nella ferma convinzione che non si può assumere il ruolo professionale del mediatore familiare senza fare della mediazione, e di tutto ciò che essa comporta, il proprio modo di vivere e di essere.
Sotto il profilo strettamente professionale sono rimasta entusiasticamente affascinata dal modo in cui la coppia, nel setting di mediazione, riesce a ripristinare il dialogo interrotto, potenzia le proprie capacità e competenze negoziali, riconosce l’altro come proprio interlocutore e negoziatore, si predispone all’ascolto ed alla profonda comprensione dei bisogni dell’altro, ridefinisce le proprie posizioni spostando l’attenzione sugli interessi comuni, rispetto ai quali condividere le soluzioni più soddisfacenti, e mutuamente accettate, per una gestione non conflittuale della propria separazione, vissuta non più in senso negativo come momento patologico della propria unione, ma come una fase di transizione verso il cambiamento, come opportunità di miglioramento, al fine di riuscire a riorganizzare in modo condiviso la propria quotidianità dopo l’evento separativo, in una logica reciprocamente vincente, “win to win”, e non conflittuale ed agonistica, “lose to win”. Uscirne vincenti insieme significa essere capaci di creare e mantenere un’alleanza, una complicità sul piano genitoriale pur dopo la separazione; significa aver responsabilmente scelto di garantire ai propri figli rapporti affettivi stabili e continuativi sia con la mamma che con il papà, anche se separati.
Ed ecco che al termine della prima tappa del mio viaggio nel mondo della mediazione familiare, da attenta osservatrice, mi sento oggi parte integrante di quel quadro tridimensionale, immersa in quello straordinario scenario che si apre alla coppia, nel quale, mutuando le parole di Jacqueline Morineau, “è possibile esprimere le nostre differenze e riconoscere quelle degli altri … nel quale si scopre che i nostri conflitti non sono necessariamente distruttivi, ma possono essere anche generatori di un nuovo rapporto”.

Primo Convegno nazionale I.NA.ME.F. “DIRITTO DI DIFESA E MEDIAZIONE FAMILIARE” Roma, 04 APRILE 2014, Ateneo Pontificio “REGINA APOSTOLORUM”

RIFLESSIONI A MARGINE DEL CONVEGNO SU DIRITTO DI DIFESA E MEDIAZIONE FAMILIARE: UN’APPARENTE ANTINOMIA
(Avv. Emanuela PALAMA’)

Ho riflettuto a lungo su questa apparente antinomia: “difesa” e “mediazione familiare” evocano, in effetti, due situazioni o, meglio due approcci al conflitto di coppia, di  natura metodologica ed emotiva differenti: la “difesa” ci fa pensare all’immagine di una coppia che sugella la fine del proprio amore e della propria unione dinanzi ad un Giudice, senza guardarsi negli occhi, senza proferire reciprocamente parola alcuna se non di rabbia, sdegno e rifiuto dell’altro; la “mediazione familiare”, ci fa pensare ad una situazione differente che vede quella stessa coppia, quello stesso uomo e  quella medesima donna che si stanno separando, pur inizialmente arroccati ciascuno sulle proprie posizioni, tentare tra loro un approccio comunicativo, anche arrabbiandosi e litigando, ma, per così dire, nel modo giusto, in uno spazio neutrale, spazio nel quale quell’uomo e quella donna, guidati dal Mediatore familiare, a “dirsi delle cose”, diventano disponibili ad ascoltarsi, a comprendersi; sono in grado di parlare lo stesso linguaggio arrivando a nutrire fiducia l’uno nell’altro per decidere insieme ed in modo condiviso le sorti della propria vita e di quella dei comuni figli in quella fase e dopo l’evento separativo.

Nel nostro sistema ordinamentale esiste, invero, uno iato tra l’ambito degli strumenti predisposti a tutela delle pretese e delle istanze che ciascuna parte vuole siano soddisfatte (affidamento dei figli, assegnazione della casa coniugale, mantenimento del coniuge e della prole, contributo alle spese straordinarie, ecc.) e l’area dei bisogni e delle dinamiche emotivo-relazionali che il conflitto della coppia innesta, non solo nell’ambito della coppia medesima, bensì anche nel rapporto con i figli e con la rete parentale.

Ma diritti e bisogni non sono inconciliabili; anzi, la soddisfacente difesa di un diritto dovrebbe passare, anzitutto, attraverso la comprensione del bisogno sotteso all’istanza di tutela dello stesso. Perciò, parlavo poc’anzi di antinomia solo APPARENTE.

Albert Einstein (1879-1955) affermava che “La pace non può essere mantenuta con la forza, può essere solo raggiunta con la comprensione”.

E la comprensione dei bisogni, delle esigenze, delle richieste, delle emozioni dell’altro (dolore, rabbia, delusione) costituisce la chiave di lettura delle relazioni conflittuali interne alla famiglia fornita dalla Mediazione familiare, che sposta l’obiettivo della propria operatività dalla “risoluzione” alla “gestione” del conflitto, attraverso un percorso teso ad abbassare il livello della conflittualità nella coppia ed a valorizzare il reciproco riconoscimento delle capacità negoziali e delle competenze decisionali di ciascuna parte.

E’, dunque, nello spazio compreso tra l’ambito – proprio del Diritto -, di individuazione e regolamentazione delle posizioni giuridiche dei membri della famiglia che si sfascia, da un lato, e quello delle risposte comportamentali messe in atto dalla coppia e dai figli a fronte dell’evento separativo, dall’altro, che si colloca la Mediazione familiare.

Il percorso mediativo, infatti, muovendo dall’analisi dei bisogni della coppia, facilita e/o ripristina il canale di comunicazione interrotto tra le parti, affinché le stesse in un ambiente neutrale, possano raggiungere  personalmente, rispetto a bisogni ed interessi da loro stesse definiti, su un piano di parità ed in un clima di reciproca fiducia, un accordo direttamente e responsabilmente negoziato inerente alla riorganizzazione della propria quotidianità, successiva all’evento separativo, con particolare riguardo all’area della genitorialità.

In questa prospettiva la crisi, il conflitto e lo stesso evento separativo diventano una preziosa opportunità di cambiamento, una risorsa, anzitutto da conoscere, metabolizzare, accettare, e poi imparare a gestire; la Mediazione familiare è lo strumento per interpretare i conflitti, un’occasione per imparare a “sostare” nei conflitti, a comprendere l’altro senza sovrastarlo, un modo nuovo di ascoltarlo[1].

L’Avvocato o il Magistrato, investiti di una questione attinente alla separazione dei coniugi o al divorzio ovvero all’affidamento e al mantenimento dei figli di genitori non sposati, per quanto specializzato in materia e dotato di sensibilità e doti umane, non potrà mai “entrare” nel conflitto della coppia, poiché, nel rispetto del proprio ruolo istituzionale, si limiterà ad individuare le posizioni giuridiche e gli interessi meritevoli di tutela delle parti e dei figli, applicando la legge.

Anche nei casi di separazione consensuale o di istanze congiunte di divorzio o di regolamentazione congiunta dell’affidamento e del mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, l’accordo raggiunto attraverso l’assistenza dei propri avvocati è assai spesso frutto di compromessi, di rinunce e concessioni reciproche, più o meno condivise ma non sempre intimamente accettate da una o da entrambe le parti, poiché in tali casi la definizione dell’assetto negoziale dei propri interessi nella fase separativa viene, il più delle volte, delegata ad un terzo (Avvocati prima, Tribunale poi), tant’è che di consensuale tali accordi non hanno veramente nulla o ben poco.

Ma un accordo sulle condizioni della separazione può essere elaborato con soddisfazione e mantenuto nel tempo se è frutto di un autentico processo negoziale, nell’ambito del quale il vissuto e l’esperienza condivisa della coppia, rappresenta forse l’unica risorsa attivabile, che non sia la semplice ricerca del compromesso e dell’adattamento difensivo[2].

In altri termini, la gestione del conflitto di coppia dovrebbe avvenire mediante l’utilizzazione di un doppio binario, emotivo-affettivo e giuridico, al fine di individuare un assetto di vita realmente più adeguato a tutti i membri della famiglia in crisi, figli compresi.

Il diritto da solo non basta! Le fredde aule di Tribunale deludono assai spesso le aspettative di chi sta vivendo sulla propria pelle l’epilogo luttuoso del proprio amore!

“L’ambiente (giudiziario, n.d.r.) non accoglie, ma respinge e centuplica il disagio di chi ha già toccato il fondo o lo toccherà fra poco”, questa l’amara ma lucida considerazione espressa dall’Avv. Gian Ettore Gassani, Presidente A.M.I. (Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani), nel suo saggio “I Perplessi Sposi”[3].

Consentitemi di leggere alcuni stralci, particolarmente significativi, delle pagine di questo libro:

Come da prassi, si inizia con le separazioni consensuali, molte delle quali di consensuale non hanno niente. Procedure che durano pochi istanti, cinque minuti, forse sei. E poi il sigillo del tribunale. Pochi giorni e tutto sarà omologato, tutto finito in barba alla indissolubilità del matrimonio.

I due coniugi entrano insieme nella stanza del giudice accompagnati dai loro difensori. Tutto è già pronto da mesi, l’accordo era stato già raggiunto. Il giudice si limita a leggere le condizioni della separazione – figli, casa, soldi – come un notaio davanti a un contratto. Il tentativo di conciliazione, ultimo sforzo per salvare il matrimonio, dura cinque o sei secondi. Una farsa, una formalità, gli sprovveduti coniugi potevano pensarci prima ed evitare tutto questo. Due firme e via, avanti un’altra coppia.

Alcuni escono piangendo, altri tirano un sospiro di sollievo. In fondo anche nelle separazioni consensuali c’è sempre un coniuge che scappa e l’altro che sigla l’accordo. In un’ora le consensuali saranno tutte chiuse come i rispettivi fascicoli, uno sull’altro, tristemente in bilico al pari delle storie che contengono.

Arriva il momento delle separazioni giudiziali, quelle in cui si stendono i panni sporchi, si concentrano gli sforzi per demolire la controparte e gli avvocati possono mostrare il meglio e soprattutto il peggio di sé …

… Una vita insieme spazzata via, in questo giorno infausto, in circa 27 minuti: è il tempo processuale che occorre in media in Italia per emettere provvedimenti provvisori, che come tutto il provvisorio italiano, diventeranno di fatto definitivi. Puoi trovare giudici che dedicano un’ora e mezzo alla decisione, altri tre quarti d’ora, e altri quindici minuti, o forse meno, per questa fondamentale fase iniziale della separazione giudiziale…

… Questi cittadini, dopo aver assaggiato il gusto amaro di un procedimento sgangherato, si sentono più soli e più delusi di prima. Avevano sperato che la loro causa fosse qualcosa di più solenne, di più serio, di più umano, come avrebbe certamente meritato la loro storia personale. Non una comune pratica da sbrigare nel più breve tempo possibile…”

Ma … com’è possibile non parlare delle proprie emozioni, far finta che non ci siano o relegarle in un angolo, quando nella fase separativa proprio l’emotività, la rabbia, il dolore, il senso di delusione, di fallimento e di frustrazione sono i sentimenti che dominano ed impediscono ogni forma di comunicazione ed una interazione dialettica costruttiva nella coppia? Come si fa a negoziare e/o ad accettare condizioni senza aver prima esternato i bisogni e le emozioni che travolgono i cuori di una coppia che si separa?  Solo quando l’astio ed il livore si saranno placati tra le parti si potrà iniziare a parlare, discutere, comunicare, negoziare. 

In tale prospettiva, il Mediatore diventa un “traghettatore”, come lo definisce icasticamente il Prof. Vittorio Cigoli[4], è una figura indispensabile assurgendo a facilitatore per il recupero di una comunicazione tra le parti, altrimenti irrimediabilmente compromessa, ma tanto necessaria, soprattutto quando sono in gioco gli interessi e l’equilibrato sviluppo psico-fisico dei figli. Spesso, sono proprio le insufficienti modalità di comunicazione e l’assenza di consapevolezza di tale carenza, ad incentivare comportamenti conflittuali che possono degenerare in forme croniche di non ascolto [5].

La Mediazione familiare si propone, dunque, non come percorso alternativo o contrapposto a quello giudiziario, bensì come spazio privilegiato che all’interno, o ancor prima dell’inizio di un  processo, come quello della separazione, consente alle coppie che vivono la fine della propria unione, di esternare le proprie emozioni, il proprio dolore, la propria rabbia, il senso di fallimento e di frustrazione che le pervade, di recuperare, quindi, autostima e consapevolezza del proprio “io”, fiducia in se stessi e verso il partner, attraverso la possibilità di “dirsi delle cose” e di ascoltarsi, senza tema di essere sopraffatti dall’altro.

Solo così può superarsi la logica negativa del conflitto, che vede un perdente ed un vincitore – logica alla quale il nostro sistema sociale ci ha da sempre abituati a rispondere, e ristabilire la comunicazione e, quindi, iniziare a discutere, confrontarsi, negoziare; in altri termini, gestire il conflitto in maniera reciprocamente “vincente”.

E’ evidente che l’accordo negoziato, accettato, condiviso, scientemente voluto dai componenti della coppia attraverso il percorso di Mediazione familiare, nel quale ciascuno di essi è stato co-protagonista e co-artefice del nuovo assetto negoziale che regolamenterà la vita propria e quella dei figli, successivamente all’evento separativo, avrà maggiori probabilità di essere mantenuto nel tempo, poiché elaborato con soddisfazione nel rispetto dei bisogni e  delle esigenze esternate, definite e condivise  dalla coppia stessa nella stanza di mediazione.

Ecco allora che la trama dei diritti e dei doveri coniugali e/o delle responsabilità genitoriali che comporrà il contenuto del verbale di mediazione e, dunque, dell’accordo finale che sarà allegato al ricorso congiunto, non rappresenterà per la coppia un’aprioristica applicazione di norme giuridiche avulsa dal vissuto personale della coppia e dal sostrato emotivo ed affettivo connesso all’evento separativo.

La Mediazione familiare è strumento per una gestione positiva, propulsiva e costruttiva del conflitto di coppia, rispetto al quale il Diritto costituisce una cornice normativa. Si muove, dunque, su un rettilineo parallelo a quello legale, comunque necessario ed indispensabile: l’Avvocato, al quale le parti si rivolgono più frequentemente nel momento più acuto della crisi, dopo aver raccolto le istanze del proprio Cliente, può consigliare un percorso di Mediazione familiare, garantendo la sua assistenza durante lo stesso per una consulenza legale ove richiesta, preclusa al Mediatore familiare, in un’ottica di sinergica collaborazione tra le due figure professionali, intervenendo, infine, nella fase successiva della verifica dell’accordo concluso dalla coppia all’esito del percorso mediativo.

La Mediazione familiare è una preziosa risorsa per la coppia:  è strumento di sostegno alle coppie travolte dalla vicenda separativa e dalla congerie di sentimenti propri di questa fase; è, altresì, strumento di sostegno alla genitorialità, rectius di attuazione di una effettiva bi-genitorialità o responsabilità genitoriale condivisa, poiché è la stessa coppia genitoriale che, attraverso il processo negoziale proprio del percorso mediativo, può decidere tempi e modi di frequentazione dei comuni figli, maturando la piena consapevolezza che dopo la fine di una relazione, coniugi o compagni di vita non si è più, ma genitori si è e si rimane per sempre.

In altri termini, sono le parti personalmente che stabiliscono come riempire di contenuto il diritto dei propri figli, affermato e riconosciuto dalla normativa nazionale e sovranazionale[6], a “mantenere un  rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

E’ un dato all’evidenza di tutti che proprio i figli finiscono per subire assai spesso le conseguenze dei sentimenti di vendetta personale, di rabbia e di dolore che investono la coppia nella fase patologica della propria relazione.

La condizione più dolorosa per un figlio è quella di sentirsi conteso tra i genitori in guerra, di non sentirsi ascoltato ma strumentalizzato per i fini egoistici dei propri genitori, accecati dalla rabbia e dall’astio reciproco.

In casi siffatti, accade, purtroppo di frequente, che un genitore cerchi, e costruisca, un vero e proprio rapporto di alleanza col figlio, “tirandolo” dalla sua parte, mettendo in atto su di lui una subdola opera di condizionamento psichico o di vera e propria manipolazione tesa alla denigrazione dell’altro genitore ed al conseguente allontanamento del figlio, che può arrivare fino al vero e proprio rifiuto, da parte di costui, del genitore denigrato e della rete parentale ad esso legata (nonni, zii, cugini, ecc.), in barba al tanto declamato “affido condiviso” ed in  spregio al diritto dei minori di mantenere rapporti equilibrati e significativi con entrambi i genitori, con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Nota a tutti è la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo del 29.01.2013, con la quale l’Italia è stata condannata per non aver permesso ad un padre separato di vedere con continuità la figlia dopo la separazione dall’ex compagna, in violazione dell’art. 8 della Convenzione che garantisce il rispetto della vita privata e familiare. I Giudici europei hanno sollecitato l’Italia a dotarsi di strumenti efficaci per l’esecuzione dei provvedimenti dei Giudici nazionali, che altrimenti rimangono lettera morta; strumenti che non devono limitarsi ad assicurare che il bambino possa incontrare il suo genitore o avere contatti con lui, ma devono essere adeguati: “le misure deputate a riavvicinare il genitore con suo figlio devono essere attuate rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere delle conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quelle dei genitori che non vive con lui”. Non deve, dunque, trattarsi di misure stereotipate ed automatiche.

Chiamati a prendersi cura del minore sono entrambi i genitori, anche in caso di cessazione dell’unione coniugale o di fatto, in modo condiviso tra loro, senza distinguere tra il genitore che partecipa della vita quotidiana del figlio e quello che soddisfa esclusivamente le esigenze ludiche e che frequenta prevalentemente nel tempo libero.

La ratio ispiratrice della legge sull’affido condiviso (Legge n. 54/2006) risiede nella tutela del fondamentale diritto del minore ad avere entrambi i genitori, ai quali viene attribuita una maggiore responsabilizzazione nell’ottica di un’imperativa crescita equilibrata del minore; è il diritto del minore ad avere la priorità sul diritto dei padri e sul diritto delle madri, regola che non può subire eccezioni che non siano giuridicamente fondate. In altri termini, l’affido condiviso non si pone a tutela né del ruolo materno né del ruolo paterno.

I genitori separati, a cui il figlio sia stato affidato in modo condiviso tra loro, hanno entrambi l’esercizio della potestà, ed in quanto chiamati allo stesso modo alle proprie responsabilità genitoriali, sono tenuti entrambi ad occuparsi del comune figlio, mediante la condivisione di uno stesso indirizzo educativo; provvedendo, congiuntamente o secondo una concordata distribuzione di compiti, ad assicurargli abbigliamento, calzature, cure mediche, libri e materiale scolastico; interessandosi del suo rendimento a scuola e seguendolo entrambi nello svolgimento dei compiti; dando ascolto ad eventuali bisogni ed esigenze del figlio, compresa quella di dedicarsi ad attività ludico-ricreative e/o sportive;  adottando, infine, di comune accordo le decisioni più importanti per la sua vita.

La condivisione, diversa dalla co-decisione propria dell’affidamento congiunto[7], implica la possibilità per la coppia genitoriale di organizzare le relazioni familiari secondo la propria volontà dispositiva, muovendo dal necessario presupposto della fiducia nell’altro e del rispetto delle sue decisioni.

A dire il vero, le formule stereotipate con le quali vengono regolamentate dai Giudici le modalità attuative del pur dichiarato affido condiviso del minore ai genitori, nei procedimenti di  separazione personale, di divorzio o in quelli che riguardano l’affidamento ed il mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, appaiono essere le formule proprie del modello di affidamento monogenitoriale, poiché il più delle volte viene individuato da un lato, il genitore, definito “collocatario” che condivide di fatto la quotidianità del figlio ed assume su di sé in modo prevalente, e talvolta esclusivo, anche le responsabilità e gli oneri economici conseguenti, e dall’altro, il genitore non convivente, che esercita un “diritto di visita” secondo una calendarizzazione in giorni ed orari prestabiliti, la cui inosservanza è spesso causa di nuove liti e di nuovi contrasti.

D’altra parte, i dati statistici registrano che nel nostro Paese l’affido condiviso non supera di fatto il 5% dei casi, benché l’89% delle sentenze di separazione stabilisca che il minore è affidato ad entrambi i genitori, senza considerare, poi, che il più delle volte il minore mantiene rapporti continuativi con gli ascendenti e solo con la rete parentale del genitore c.d. collocatario.

Questo dato impone una riflessione, anche alla luce dei moniti che ci giungono dai Giudici europei: è fin troppo evidente che nel nostro Paese non sono adeguatamente valorizzati  strumenti che, invece, potrebbero favorire la concreta attuazione dell’affido condiviso, secondo il regime concepito ed ideato dal Legislatore della Legge n. 54/2006, in funzione di un’effettiva tutela dell’interesse superiore del minore, cui la Legge medesima si ispira.

Un valido ed efficace strumento in tal senso, è proprio la Mediazione familiare che, come detto, superando la logica agonistica della conflittualità, consente alla coppia di genitori di giungere, attraverso una terza persona riconosciuta da ambedue imparziale, qual è appunto il mediatore, ad un accordo condiviso sulla riorganizzazione delle proprie relazioni e, soprattutto, sulla ristrutturazione del loro  rapporto con i figli minori, regolamentandolo di comune intesa in tutti i suoi aspetti, dal tempo che ciascun genitore potrà trascorrere col minore alle esperienze di vita quotidiana che potrà condividere col medesimo, fino ad un’equa ridistribuzione di compiti e di responsabilità, dando concreta sostanza di contenuti al tanto declamato “affido condiviso”.

Da questo punto di vista, la migliore garanzia per i figli non è tanto rappresentata dal raggiungimento di un accordo che eviti il protrarsi della conflittualità, quanto soprattutto dall’essere collocati al di fuori dell’area dei possibili strumenti di sopraffazione reciproca dei genitori e poter mantenere, in tal modo, un rapporto equilibrato con entrambi, senza essere “ostaggio” di alcuno di essi.

Non si chiede, infatti, che i genitori smettano di litigare, ma che sappiano litigare e lo facciano nel modo giusto, tenendo presente, come afferma lo psicoanalista austriaco Bruno Bettelheim, che “il modo in cui il genitore vive un evento cambia tutto per il bambino, perché è in base al vissuto del genitore che egli si crea la propria interpretazione del mondo”.

La Mediazione familiare quale strumento di mediazione dei conflitti nella famiglia e nella coppia in crisi può e deve diventare una nuova filosofia di vita, da sposare e fare propria in via preventiva ad ogni lite giudiziaria, che il più delle volte inasprisce il conflitto e distrugge in modo irreversibile le relazioni affettive, a discapito, ancora una volta, dei figli.

Tale strumento va valorizzato anzitutto in sede legislativa, poiché la Mediazione familiare, pur essendo una realtà nel nostro Paese da circa trent’anni, non ha ancora trovato cittadinanza nel nostro ordinamento attraverso un impianto normativo organico, che definisca la Mediazione familiare, regolamenti ed attribuisca autonoma dignità alla figura professionale del Mediatore familiare e ne disciplini l’ambito di operatività.

Non sono mancati, invero, disegni o proposte di legge in materia, elaborate su sollecitazione di singole Associazioni di categoria in Mediazione familiare,  ma nessuno di esse, sino ad oggi, è stato tradotta in legge.

L’auspicio è che anche il Legislatore si renda finalmente consapevole di quale preziosa risorsa rappresenti la Mediazione familiare e intervenga a colmare al più presto una lacuna normativa oramai non più accettabile.

[1] MARTELLO M., L’arte del mediatore dei conflitti, Giuffrè, Milano, 2008, 62.

[2] CANEVELLI F. – LUCARDI M., La Mediazione Familiare. Dalla rottura del legame al riconoscimento dell’altro, Bollati Boringhieri, Torino, 2008, 197.

[3] GASSANI G. E., I Perplessi Sposi, Aliberti Editore, Roma, 2011, 19 ss.

[4] Professore Emerito e docente di Psicologia Clinica dei Legami Familiari presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. È Direttore dell’Alta Scuola di Psicologia “A. Gemelli”, dove dirige i Master Universitari di Mediazione Familiare e Comunitaria e di Clinica delle relazioni di Coppia. Dirige la collana “Psicologia sociale e clinica familiare” della Franco Angeli Editore e fa parte di numerosi comitati editoriali di riviste scientifiche.

[5] SPADARO G.-CHIARAVALLOTI S., L’interesse del minore nella Mediazione familiare, Giuffrè, Milano, 2012, 168

[6] In particolare, l’art. 9, comma 3, della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia del 20.11.1989 (ratificata dall’Italia con L. n. 176 del 27.05.1991 e dichiarata immediatamente precettiva nel nostro ordinamento dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 1 del 16.01.2002), impone a tutti gli Stati aderenti il rispetto del fondamentale “diritto del fanciullo separato da entrambi i genitori o da uno di essi di intrattenere regolarmente rapporti personali e contatti diretti con entrambi i genitori, a meno che ciò non sia contrario all’interesse preminente del fanciullo”; l’art. 24, comma 3, della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre del 2000, statuisce: “Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.”

[7] La formula dell’affidamento congiunto è stato adottato, prima dell’introduzione dell’affido condiviso, solo nei casi di lieve o inesistente conflittualità di coppia, poiché basata sul consenso unanime dei genitori su tutte le decisioni riguardanti i figli, sia di ordinaria che di straordinaria amministrazione.