Revoca dell’assegnazione della casa familiare.

Se i figli conviventi maggiorenni diventano economicamente indipendenti, il genitore separato, anche se privo di occupazione e di altra dimora, perde l’assegnazione della casa coniugale.
(nota di Emanuela Palamà ad ordinanza del Tribunale di Lecce, 11 settembre 2015).

Il caso: nel corso di un giudizio di separazione personale tra i coniugi, all’esito dell’udienza presidenziale ex art. 708 c.p.c., la moglie ottiene l’assegnazione, in suo favore, della casa coniugale, benché di proprietà esclusiva del marito, in quanto con ella stabilmente conviventi i due figli della coppia, maggiorenni ma, all’epoca della pronuncia dell’ordinanza presidenziale, non ancora economicamente autosufficienti.
Successivamente, uno dei due figli lascia la casa coniugale per vivere autonomamente, essendo nelle condizioni di potersi mantenere da sé; l’altro figlio, pur continuando ad abitare nella casa coniugale con la madre, trova un’occupazione lavorativa stabile, percependo una retribuzione mensile di circa € 1.200,00, sì da essere economicamente indipendente.
Essendo, dunque, mutata la situazione di fatto rispetto all’epoca della pronuncia dell’ordinanza presidenziale, il marito, con apposita istanza, chiede ed ottiene dal Giudice della separazione la revoca dell’assegnazione della casa coniugale disposta in favore della moglie, in parziale modifica dell’ordinanza presidenziale, a nulla rilevando le argomentazioni della moglie in ordine alla mancanza di una propria occupazione lavorativa e di una sistemazione abitativa alternativa.
La motivazione: il Giudice istruttore, con argomentazioni condivisibili, focalizza anzitutto la ratio dell’assegnazione della casa coniugale disposta all’esito dell’udienza presidenziale, ossia la tutela dell’interesse dei figli alla conservazione dell’ambiente domestico, inteso questo come centro degli affetti, degli interessi e delle abitudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, “sicchè resta imprescindibile il requisito dell’affidamento di figli minori o della convivenza con figli maggiorenni non autosufficienti”.
Il Giudice prosegue il proprio ragionamento argomentando dal diverso tenore dell’art. 155 quater c.c., come introdotto dalla L. n. 54/2006 (nota come legge sull’affido condiviso) ed oggi trasfuso nell’art. 337 sexies c.c. (solo erroneamente indicato nell’ordinanza che si annota come 337 octies), per effetto della riforma operata con il recente D. Lgs. n. 154/2013 in tema di filiazione, rispetto al disposto dell’art. 155, comma 4, c.c., nel testo vigente prima della citata novella del 2006.
Invero l’art. 155, comma 4, c.c., nel testo previgente, stabiliva che “L’abitazione nella casa familiare spetta di preferenza, e ove sia possibile, al coniuge cui vengono affidati i figli”.
Con l’entrata in vigore della L. n. 54/2006 (che ha inserito nel codice civile l’art. 155 quater) e, successivamente del D. Lgs. n. 154/2013 (che ha abrogato l’art. 155 quater, trasfondendone il contenuto nell’attuale art. 337 sexies c.c.) si è stabilito che “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.
Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643”.
Non si tratta solo di una questione terminologica o di una differente formulazione della norma che già regolamentava l’assegnazione della casa familiare in regime di separazione tra i coniugi, poiché, come ben rilevato dal Giudice, la disposizione di cui al citato art. 337 sexies c.c. è più ampia di quella del previgente art. 155, c. 4, c.c.: ed invero, il disposto dell’art. 337 sexies c.c., facendo espresso riferimento al prioritario interesse dei “figli” (tutti i figli indistintamente, di genitori coniugati e non, e non solo minorenni), conferma che il godimento della casa familiare è finalizzato alla tutela della prole in genere e non più al solo affidamento dei figli minori: vale a dire che anche i figli maggiorenni economicamente non autosufficienti, che abitano nella casa familiare, hanno diritto di goderne fino al raggiungimento della propria indipendenza economica, mentre in assenza di prole, viene meno il titolo che giustifica la disponibilità della casa familiare, a nulla potendo rilevare argomentazioni di tipo diverso.
Tanto è vero che il provvedimento di assegnazione della casa coniugale non può costituire una misura assistenziale per il coniuge economicamente più debole (cfr. ex multis, Cass. n. 18440 del 01.08.2013), in quanto il diritto dell’assegnatario nasce e permane solo in ragione della convivenza con figli minorenni ovvero con figli maggiorenni ma non provvisti, senza loro colpa, di sufficienti redditi propri.
D’altra parte, per giurisprudenza consolidata, anche nell’ipotesi in cui venga meno successivamente e per qualsiasi causa, la già conseguita indipendenza economica del figlio maggiorenne, la tutela apprestata dall’ordinamento in favore del soggetto rimasto privo di mezzi, sempre che l’evento negativo non risulti al medesimo imputabile, è limitata al diritto agli alimenti e non estesa al più ampio mantenimento o all’uso della casa dei genitori; in tal caso, peraltro, solo l’alimentando sarebbe legittimato ad azionare tale diritto jure proprio, ricorrendone le condizioni e fornendone la prova (tesi già affermata nella giurisprudenza di merito e confermata in tempi risalenti dalla Suprema Corte – cfr. Cass. civ., 5 agosto 1997, n. 7195).
Alla luce di tali argomentazioni, il Giudice, nel caso sottoposto al suo esame, in accoglimento della domanda proposta dal marito, ha revocato l’assegnazione della casa coniugale disposta in favore della moglie, essendo venuti meno i presupposti che ne legittimavano il godimento unitamente alla prole.