“VII FORUM NAZIONALE DEI MEDIATORI” Roma, 19.11.2013 presso la Nuova Auletta dei Gruppi Parlamentari della Camera dei Deputati

(tra i relatori, Avv. Emanuela Palama’)

“L’Albo nazionale dei Mediatori familiari:
riflessioni e proposte de iure condendo”

Intervento dell’Avv. Emanuela Palama’

«La potestà legislativa regionale nella materia concorrente delle “professioni” deve rispettare il principio secondo cui l’individuazione delle figure professionali, con i relativi profili e titoli abilitanti, è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario, allo Stato, rientrando nella competenza delle Regioni la disciplina di quegli aspetti che presentano uno specifico collegamento con la realtà regionale. Tale principio, al di là della particolare attuazione ad opera di singoli precetti normativi, si configura infatti quale limite di ordine generale, invalicabile dalla legge regionale» (sentenze n. 153 e n. 424 del 2006, n. 57 del 2007, n. 138 e n. 328 del 2009) … la «istituzione di un registro professionale e la previsione delle condizioni per la iscrizione in esso hanno già, di per sé, una funzione individuatrice della professione, preclusa alla competenza regionale» (sentenze n. 93 del 2008, n. 138 e n. 328 del 2009). Ora, la legislazione statale, con l’art. 155-sexies del codice civile, aggiunto dalla legge 8 febbraio 2006, n. 54, ha soltanto accennato alla attività di mediazione familiare, senza prevedere alcuna specifica professione, stabilendo che «qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli», ma, a tutt’oggi, non ha introdotto la figura professionale del mediatore familiare, né stabilito i requisiti per l’esercizio dell’attività”: con questa motivazione la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 131 del 15 aprile 2010, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 117, comma 3, Cost., degli artt. 1, comma II, 3, 4 e 6 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 26 (Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare); nonché, dell’art. 1 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 27 (Modifiche alla deliberazione legislativa approvata dal Consiglio regionale nella seduta del 10 dicembre 2008, concernente “Norme per la tutela dei minori e la diffusione della cultura della mediazione familiare”) e, in via consequenziale, degli artt. 1, comma I, 2, 5, 7 e 8 della legge della Regione Lazio 24 dicembre 2008, n. 26, ossia di una serie di disposizioni normative formulate dalla Regione Lazio afferenti la definizione e la disciplina della figura professionale del Mediatore familiare nonché l’istituzione, presso l’Assessorato regionale competente in materia di politiche sociali, dell’Elenco regionale dei Mediatori familiari, individuando analiticamente i requisiti per iscriversi al predetto elenco.

Al di là delle argomentazioni che scandiscono l’iter logico-giuridico della pronuncia di incostituzionalità della Corte Costituzionale, fa riflettere come sempre più avvertita sia l’esigenza di normare la mediazione familiare.

Come noto, da circa trent’anni la Mediazione familiare rappresenta una realtà operativa anche nel nostro Paese -sebbene ancora poco o non correttamente conosciuta ed ancora scarsamente praticata-diffusa prevalentemente grazie all’attività divulgativa e formativa posta in essere da Associazioni private – tra le quali, le più note storicamente: SIMEF (Società Italiana di Mediazione Familiare)[1], AIMS (Associazione Italiana Mediatori Sistemici)[2], AIMEF (Associazione Italiana Mediatori Familiari)[3]. Il Legislatore italiano ha lasciato, invece, un grave vuoto normativo in materia, non disciplinando la Mediazione familiare né definendo la figura, le competenze, il ruolo professionale e formativo del Mediatore familiare.

Per compiutezza espositiva, corre l’obbligo precisare che con l’emanazione della L. 14 gennaio 2013, n. 4 (pubblicata in G.U. n. 22 del 26.01.13), recante “Disposizioni in materia di professioni non organizzate”, è stata introdotta una disciplina della Professione del Mediatore familiare, ancorché di carattere generico e residuale rispetto alle specifiche normative che regolamentano le Professioni organizzate in Ordini o Collegi: ai sensi dell’art. 1, infatti, la legge citata si applica ad “ogni attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile …”.

Si tratta, tuttavia, di una normativa applicabile a tutte le professioni non organizzate in ordini o collegi (tra le quali, certamente, può ricondursi quella del Mediatore familiare), che ha avuto il pregio di colmare una lacuna esistente nella regolamentazione delle professioni non organizzate, introducendo il principio del libero esercizio della professione fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica del professionista; consentendo al professionista di scegliere la forma (individuale, associata, societaria o nella forma di lavoro dipendente), attraverso cui esercitare la propria professione; riconoscendo ai professionisti la possibilità di costituire associazioni professionali (con natura privatistica, fondate su base volontaria e senza alcun vincolo di rappresentanza esclusiva) con il fine di valorizzare le competenze degli associati, diffondere tra essi il rispetto di regole deontologiche, favorendo la scelta e la tutela degli utenti nel rispetto delle regole sulla concorrenza.

In particolare, la Legge n. 4/2013 prevede che le associazioni possano costituire forme aggregative che rappresentano le associazioni aderenti, agiscano in piena indipendenza ed imparzialità e siano soggetti autonomi rispetto alle associazioni professionali che le compongono, con funzioni di promozione e qualificazione delle attività professionali che rappresentano, nonché di divulgazione delle informazioni e delle conoscenze ad esse connesse e di rappresentanza delle istanze comuni nelle sedi politiche e istituzionali.

Tuttavia, una disciplina di carattere generale e genericamente applicabile a tutte le attività non riconducibili alle professioni organizzate in ordini o collegi, non basta!

La Mediazione familiare abbisogna di un intervento normativo ad hoc, che disciplini in modo trasversale tutti gli aspetti inerenti all’esercizio della professione del Mediatore familiare, dall’accesso alla formazione, dalla natura e dal tipo di percorso formativo alle competenze specialistiche richieste come requisiti indispensabili per l’esercizio della professione, dalla previsione di un Codice deontologico e di un Tariffario all’istituzione di un Albo nazionale dei Mediatori familiari.

L’unica norma della L. 4/2013 che fa riferimento alla tenuta di un “elenco degli iscritti aggiornato annualmente” è l’art. 5, comma 2, nell’ipotesi in cui la professione sia esercitata in forma associata.

In proposito, si segnala che l’AIMEF è stata la prima organizzazione di Mediatori familiari iscritta nell’elenco delle Associazioni professionali previsto dall’art. 2, comma 7, della L. n. 4/2013, pubblicato dal Ministero  dello sviluppo economico sul proprio sito internet www.sviluppoeconomico.gov.it, essendo in possesso di tutti i requisiti previsti per il rilascio dell’attestato di qualità dei propri iscritti. Inoltre, dal 2002 l’AIMEF risulta iscritta nell’elenco speciale del C.N.E.L. (Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro, con il n.33/03) e pertanto i suoi associati costituiscono albo nazionale privato dei Mediatori familiari e sono tutti coperti da RC professionale come Mediatori familiari.

L’inserimento del singolo professionista in tale elenco impone la preliminare valutazione, da parte dell’AIMEF, del possesso, all’atto dell’iscrizione dell’aspirante socio, di tutti i requisiti di competenza, preparazione teorica e pratica e di aggiornamento professionale richiesti ai fini della iscrizione medesima. Ciò a garanzia del rispetto degli standard di qualità professionale del Mediatore familiare, certificati dall’AIMEF, conformi agli standard di formazione riconosciuti dal Forum Europeo di Formazione e ricerca sulla Mediazione Familiare[4].

Naturalmente, l’elenco tenuto dall’AIMEF non può considerarsi esaustivo, non raccogliendo i nominativi di tutti i professionisti che abbiano conseguito il titolo di Mediatore familiare, ma solo dei propri associati, la cui qualità sia stata valutata e certificata dall’associazione medesima.

Tuttavia, poiché i corsi di formazione organizzati sul territorio nazionale sono svariati e non tutti riconosciuti ed accreditati dall’AIMEF o dal Forum Europeo di Formazione e ricerca sulla Mediazione Familiare o da altri Enti e/o Associazioni accreditate, si può correre il rischio concreto di rivolgersi ad un professionista, che non sia socio AIMEF e non iscritto nel relativo elenco, poco qualificato o con scarsa esperienza professionale, non esistendo, né essendo previsto ad oggi, un Albo nazionale dei Mediatori familiari, l’iscrizione al quale sia condizionata al possesso di determinati requisiti, sul modello dell’elenco dei soci AIMEF.

Inoltre, poiché l’individuazione delle figure professionali è riservata, per il suo carattere necessariamente unitario allo Stato, ex art. 117 Cost., in linea con quanto argomentato e deciso dalla Corte Costituzionale con la citata sentenza n. 131 del 15 aprile 2010, in difetto di una specifica previsione e regolamentazione delle figura e del profilo professionale e formativo del Mediatore familiare, a livello di normazione nazionale, questi va qualificato attingendo al bacino degli istituti vigenti.

In particolare, il problema si pone nella fase endoprocedimentale, poichè il dato normativo di cui all’art. 155 sexies, comma 2, c.c. (introdotto dalla L. n. 54/2006 sull’affido condiviso), parla di “esperti” che “tentino una mediazione” tra i coniugi e non di “mediatori familiari”, in tal modo finendo per ricondurre la figura a quelle già esistenti senza creazione ex novo di una nuova professionalità, almeno ai fini processuali.

Ed infatti, dal dato normativo – invero alquanto scarno – emerge che la figura deputata a “mediare” trai coniugi è dotata di particolari competenze professionali ed assume, di fatto, la qualità di ausiliario del giudice. Diversi i referenti ermeneutici di siffatta conclusione:

1) La disposizione ex art. 155-sexies c.c. è rubricata “poteri del giudice ed ascolto del minore”: la scelta discrezionale di far ricorso alla mediazione va inscritta, pertanto, nel novero dei “nuovi poteri” del Giudicante e un simile inquadramento sistematico richiama immediatamente la facoltà (rectius: potere) di ricorrere all’assistenza di organi d’ausilio. Si tratta, cioè, di uno di quei “casi previsti dalla legge” in cui “il giudice … si può fare assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che non è in grado di compiere da sé solo” (art. 68 c.p.c., rubricato, per l’appunto, “altri ausiliari”).

2) Il dato letterale depone nel senso di uno stretto rapporto tra esperti e giudice, potendosi reputare che i primi agiscano come una vera e propria longa manus del Giudicante: ed, infatti, la disposizione adotta il verbo “avvalendosi”. Non è possibile, pertanto, non ricondurre il mediatore all’art. 68 c.p.c. poiché dalla legge definito, per l’appunto, “esperto” che tenta la mediazione e non tout court “mediatore”[5].

Pertanto, muovendo dalla considerazione che nulla è disposto in merito a chi siano gli esperti ed in ordine alle modalità con le quali il magistrato, le parti o i loro avvocati possano accedere alle prestazioni dei medesimi nel corso del procedimento giudiziario; che per coinvolgere il mediatore familiare nel corso del giudizio nei Tribunali si attuano prassi differenziate: questi viene nominato, ora CTU ex art. 61 c.p.c., ora ausiliario ex art. 68 c.p.c., ora senza alcun riferimento specifico; che tale modalità operativa genera confusione circa la specificità dell’intervento mediativo nell’ambito del processo di separazione e di divorzio, la stessa AIMEF, in data 10 settembre 2007, ha adottato a Milano le c.d. “linee guida operative” per l’accesso alla Mediazione familiare nel corso del procedimento di separazione e divorzio[6], al fine di meglio precisare le competenze ed il profilo formativo e professionale del Mediatore familiare.

Alla luce delle considerazioni innanzi svolte, è agevole concludere che per riconoscere l’autonomia della figura professionale del Mediatore familiare e garantirne la qualità e la competenza, in una prospettiva de iure condendo, sarà necessario prevedere l’istituzione di un Albo nazionale dei Mediatori familiari presso il Ministero della Giustizia, “punto fondamentale dal quale solo può iniziarsi ad impostare un servizio esclusivo ed autonomo da ogni altro, gestito da specialisti del settore, con una formazione ad hoc, distinta da quello di qualunque altro professionista”[7]: il Mediatore familiare, infatti, deve essere legittimato a livello istituzionale, normativo e giuridico per la specificità del ruolo che rappresenta e non per l’appartenenza in sé ad altre categorie professionali.

Non sono mancati, invero, proposte o disegni di legge, che, nella prospettiva di normare la Mediazione familiare, hanno previsto, tra l’altro, l’istituzione di un Albo nazionale.

Si cita, a titolo esemplificativo, la proposta di legge n. 3868, presentata il 17 novembre 2010 dal Deputato D’Ippolito Vitale, il cui art. 7 prevede l’istituzione di un Albo nazionale dei Mediatori familiari al quale siano tenuti ad iscriversi coloro che sono in possesso di laurea specialistica in discipline pedagogiche, psicologiche, sociali o giuridiche nonché di idoneo titolo universitario, quale master, specializzazione o perfezionamento di durata biennale di Mediatore familiare, nonché chi – in possesso dei predetti requisiti – alla data di entrata in vigore della legge abbia svolto per almeno due anni, nel quinquennio antecedente l’entrata in vigore della legge, attività di mediazione familiare da comprovare sulla base di idonea documentazione.

E’ indubbio che l’iscrizione all’Albo nazionale imponga la verifica dell’avvenuto completamento, da parte del singolo, del relativo percorso formativo e, quindi, dell’avvenuto conseguimento del titolo abilitante all’esercizio della professione di Mediatore familiare.

In che cosa dovrà consistere il percorso formativo; a quali soggetti e/o professionalità consentire l’accesso alla professione di Mediatore familiare; a quale Ente, Organismo, Struttura e/o Associazione, statale e/o privata che sia, debba essere riconosciuto il potere di formare, accreditare e certificare la qualità di formazione, teorica e pratica, del Mediatore Familiare, sono tutti aspetti, nondimeno fondamentali, che necessitano una approfondita valutazione ed una specifica normazione.

Un dato è innegabile: il Mediatore familiare, una volta esaurito il proprio percorso formativo – ancorché assiduamente tenuto a garantire la propria formazione permanente mediante il costante aggiornamento professionale-, deve poter avere accesso ad un Albo nazionale, pubblicamente consultabile, anche in via telematica, in cui per ciascun iscritto sia indicato:

– il percorso formativo seguito ai fini del conseguimento del titolo e gli aggiornamenti successivi connessi all’obbligo di formazione permanente;

– la scuola di pensiero e/o il modello di mediazione familiare cui il professionista aderisce;

– il territorio regionale e provinciale di esercizio della professione di Mediatore familiare;

– la forma individuale o associativa prescelta dal professionista.

Inoltre, al fine di favorire una sinergica e fattiva collaborazione tra i vari operatori del settore e, segnatamente, tra Avvocati, Magistrati, Servizi sociali e Mediatori familiari, si potrebbe prevedere, sempre de iure condendo, la tenuta presso il Ministero della Giustizia, oltre che di un Albo nazionale, anche di sotto-elenchi, in ciascuno dei quali inserire tutti i nominativi di Mediatori familiari in attività, suddivisi secondo un criterio di ambito territoriale di operatività in relazione al distretto di Corte di Appello di appartenenza.

Tali sotto-elenchi, anch’essi suscettibili di periodico aggiornamento, da pubblicarsi sui siti internet di ciascuna Corte di Appello, di ciascun Ordine territoriale degli Avvocati e di altri Ordini professionali, e di ciascun Comune ricompreso nel territorio di riferimento, consentirebbe ad Avvocati, Magistrati, Servizi sociali e Consultori familiari, di  attingervi per la designazione – sia nella fase pre-processuale che in quella endoprocedimentale – del Mediatore familiare, quale figura professionale qualificata da specifiche competenze, dotata di un ruolo e di una propria dignità giuridica distinta, autonoma e differenziata da quella delle altre professioni, e non più quale “esperto” che “tenti” una “mediazione” tra i coniugi per raggiungere l’accordo, secondo il tenore letterale dell’art. 155 sexies, comma II, c.c..

Naturalmente, prevedendo nell’ambito di una più ampia disciplina speciale sulla Mediazione familiare l’istituzione di un Albo nazionale dei Mediatori familiari presso il Ministero della Giustizia, nonché,  per ragioni pratico-operative, la tenuta di sotto-elenchi consultabili dagli utenti, dagli Enti territoriali, dagli Ordini professionali e dalla Magistratura, si applicherebbe, non più la Legge n. 4/2013, avente carattere generale, bensì la disciplina speciale di settore, in virtù del principio lex specialis derogat generali.

Per conseguenza, andrebbe totalmente riscritto il testo del secondo comma dell’art. 155 sexies c.c., mediante l’espresso riferimento ad una figura professionale “nuova”, quella del Mediatore familiare, non più ibrida sotto il profilo processuale, ma avente una specifica e ben delineata configurazione ed identità giuridica, a livello istituzionale, sostanziale e processuale.

Due aspetti restano, a questo punto, da esaminare:

1) a chi affidare, de iure condendo, il compito/potere di aggiornare periodicamente l’istituendo Albo nazionale dei Mediatori familiari ed i relativi sotto-elenchi;

2) se l’iscrizione all’Albo da parte del singolo Mediatore familiare debba essere prevista come obbligatoria ovvero come semplice facoltà.

Orbene, per rispondere a tali quesiti, occorre riflettere sulla ratio sottesa all’esigenza normativa di prevedere e regolamentare l’Albo nazionale dei Mediatori familiari: da un lato, la necessità ormai improcrastinabile di riconoscere alla figura professionale del Mediatore familiare un’identità istituzionale e giuridica propria, autonoma, distinta e differenziata da quelle esistenti e, dunque, dalla categoria professionale di appartenenza del singolo (sia esso -anche- avvocato, psicologo, pedagogo, psicoterapeuta, sociologo, ecc.); dall’altro, garantire la qualità e la competenza specialistica del Mediatore familiare, mediante la “certificazione” del percorso formativo conseguito dal singolo.

In ragione di ciò, il potere di periodico aggiornamento e di vigilanza sull’istituendo Albo nazionale dei Mediatori familiari andrà normativamente conferito al Ministero della Giustizia; sarà, poi, l’Ente accreditatore ad inviare al Ministero, secondo una cadenza periodica da stabilirsi normativamente, i nominativi dei singoli professionisti, in ogni caso su istanza degli interessati che intendano esercitare concretamente la professione di Mediatore familiare.

In altri termini, l’iscrizione all’Albo dovrebbe essere prevista, in linea di principio, come facoltativa; diverrebbe, invece, obbligatoria nel caso in cui il Mediatore familiare volesse esercitare la professione, costituendone condizione indefettibile e necessaria. In tal caso, l’interessato dovrebbe indirizzare l’istanza di iscrizione al proprio Ente certificatore, il quale, previa valutazione positiva delle competenze professionali e degli standard qualitativi dell’istante, provvederebbe ad inviare il relativo nominativo al Ministero della Giustizia per l’inserimento del medesimo nell’Albo nazionale e nel rispettivo sotto-elenco in relazione all’ambito territoriale di esercizio della professione.

Naturalmente, per i Mediatori familiari in attività all’entrata in vigore della proponenda legge, l’Ente accreditatore dovrebbe tener conto in sede valutativa dell’appartenenza dei medesimi ad Associazioni private già accreditate e/o dell’esperienza professionale già maturata.

Inoltre, al fine di rendere concretamente esperibile il potere di controllo e di vigilanza del Ministero della Giustizia sull’Albo nazionale, nella prospettiva di garantire la costante qualità professionale del Mediatore familiare già iscritto, si dovrebbe prevedere che l’Ente accreditatore invii periodicamente al Ministero anche gli aggiornamenti relativi alla formazione permanente conseguita dal singolo professionista, secondo un meccanismo basato sull’istanza dell’interessato, onerato ex lege di comunicare all’Ente certificatore gli step della propria crescita professionale.

Il che impone la necessaria ed inevitabile previsione, nell’ambito della disciplina normativa di un istituendo Codice deontologico dei Mediatori familiari, di una serie di casi di cancellazione dall’Albo medesimo, tra i quali, certamente, il mancato assolvimento, da parte del singolo professionista, dell’obbligo di formazione continua e/o della relativa comunicazione all’Ente certificatore.


[1] La SIMEF, come l’associazione “Genitori Ancora” (GeA), segue un tipo di mediazione c.d. integrata, ossia si avvale delle competenze dei legali oltre che di quelle del mediatore familiare.

[2] L’AIMS segue un tipo di mediazione familiare basata sull’approccio sistemico-relazionale (per il quale l’uomo vive necessariamente in un sistema di relazioni che costituiscono il suo ambiente vitale) e anche globale, ossia fondato sulla trattazione congiunta di aspetti emotivo-relazionali ed aspetti economici.

[3] L’AIMEF raggruppa soci di diverse scuole di formazione, ognuna portatrice, nel rispetto delle regole statutarie e del codice deontologico, di diversi orientamenti di pensiero e, dunque, di diversi modelli di mediazione familiare (negoziale, strutturato, clinico, sistemico-relazionale, integrato, globale, ecc).

[4] Il FORUM EUROPEO, organismo di formazione e di ricerca per la Mediazione Familiare è una Associazione senza scopo di lucro, a norma della legge 1901 francese, che riunisce in sé organizzazioni nazionali, regionali e locali di differenti Paesi europei, che formano alla Mediazione familiare nel campo della separazione, del divorzio, della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, dei conflitti familiari; ed alla Mediazione nel campo dell’incomunicabilità e delle situazioni conflittuali tra persone o  gruppi, tra istituzioni  o imprese. Il FORUM EUROPEO è stato creato nel 1996 da mediatori familiari e formatori provenienti da differenti Paesi europei che si sono riuniti per lavorare insieme con il coordinamento della sezione formazione dell’APMF (all’epoca Associazione per la Promozione della Mediazione Familiare francese). Oggi il FORUM EUROPEO è completamente indipendente e dal 2012 si è aperto dall’area della mediazione familiare per integrare tutti i campi della mediazione: scolastica, internazionale, d’impresa, sanitaria, del lavoro, civile, giudiziaria, istituzionale, ecc.. Attualmente lo scopo del FORUM EUROPEO è quello di promuovere, sviluppare e coordinare la formazione e la ricerca nel campo della mediazione familiare, della mediazione familiare internazionale e di altre tipologie di mediazione, elaborando degli standard di qualità nella formazione e nella pratica della mediazione familiare, della mediazione familiare internazionale e più in generale della mediazione in Europa. OBIETTIVI : a) Riunire i Centri di formazione che erogano formazione alla mediazione familiare e alla mediazione familiare internazionale e sollecitarli ad operare in uno spirito di cooperazione interdisciplinare, rispettando le specificità nazionali e culturali; b) riunire i referenti e i responsabili per la formazione negli altri ambiti della mediazione e sollecitare anch’essi  a operare in uno spirito di cooperazione interdisciplinare, nel rispetto delle specificità nazionali e culturali; c) stabilire dei criteri sui contenuti della formazione ed accompagnare la loro attuazione; d) promuovere la professionalità dei mediatori familiari, dei mediatori familiari internazionali e degli altri mediatori attraverso la formazione continua; e) favorire, nella formazione iniziale ed in quella continua, gli scambi di esperienze di mediazione in differenti contesti; f) offrire uno spazio strutturato, che favorisca la riflessione e la ricerca in mediazione familiare e mediazione familiare internazionale nelle situazioni di conflitto coniugale, genitoriale, familiare, che riguardano l’infanzia e l’adolescenza, l’intergenerazionale e il trans generazionale, e in tutti gli altri campi della mediazione in connessione con la scuola, l’impresa, la giustizia, le istituzioni; g) sviluppare relazioni e partenariati con le organizzazioni europee e internazionali coinvolte nella messa in atto di servizi di mediazione.

[5] SPADARO G.-CHIARAVALLOTI S., L’interesse del minore nella Mediazione familiare, Giuffrè, Milano, 2012, 238 ss.

[6] Linee guida A.I.Me.F per l’accesso alla Mediazione Familiare nel corso del procedimento di separazione e divorzio: “premesso che l’art.155 c.c., così come modificato dalla L.54/2006 in materia di separazione dei coniugi e affidamento condiviso de i figli, dispone che “anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo  con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione ed istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”; il successivo art.155 sexies c.c. stabilisce che “qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”; nulla è disposto in merito a chi siano gli esperti e con quali modalità il magistrato, le parti o i loro avvocati possano accedere alle loro prestazioni nel corso del procedimento giudiziario; per coinvolgere il mediatore familiare nel corso del giudizio nei Tribunali si attuano prassi differenziate: ora viene nominato CTU ex art.61 c.p.c., ora ausiliario ex art.68 c.p.c., ora senza riferimenti specifici; tale modalità operativa genera confusione circa la specificità dell’intervento mediativo nell’ambito del processo di separazione e divorzio; invero, il professionista idoneo alla pratica della mediazione familiare dovrebbe avere una formazione specifica che risponda agli standard minimi stabiliti dal FORUM EUROPEAN – Formation et Recherche en Médiation Familiare (www.europeanforum -fa milymediation.com) organismo di formazione e ricerca in mediazione costituitesi a Marsiglia (Francia) nell’aprile 1998. Standard ripresi e perfezionati nello Statuto A.I.Me.F.; inoltre, il professionista idoneo alla pratica della mediazione familiare dovrebbe agire nel rispetto della deontologia professionale regolamentata dall’European Code of Conduct for Mediators firmato a Bruxelles il 2 luglio 2004. Deontologia ripresa e perfezionata nello Statuto e nel Regolamento Interno A.I.Me.F.; infine, il ruolo e la funzione del mediatore familiare sono chiaramente delineati dalla Raccomandazione (98)/1 del 19.01.98 del Consiglio d’Europa, nonché dalla Raccomandazione 1639 del 25.11.03 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa. In particolare, tali provvedimenti mettono in evidenza che: a) la mediazione dovrebbe essere autonoma e complementare rispetto al contesto  giudiziario; b) il mediatore familiare dovrebbe avere una funzione esclusivamente di natura compositiva e non valutativa; c) la volontarietà della coppia al percorso di mediazione familiare è predittiva di un buon esito del medesimo; l’istituto dell’esperto mediatore ex art.155 sexies c.c. è incompatibile con quello del CTU ex art.61 e ss c.p.c. e artt.13-24; 89-92 disp. att. e con quello degli altri ausiliari ex art. 68 c.p.c. innanzitutto per l’autonomia e la complementarietà del percorso di mediazione familiare rispetto al contesto giudiziario. Difatti, mentre gli ausiliari del giudice – tra cui in primis il CTU – sono da quest’ultimo incaricati in suo ausilio ai fini della decisione, il mediatore familiare, invece, mette la propria professionalità a disposizione delle parti. Il destinatario dell’attività dell’ausiliario risulta, di conseguenza, essere il giudice, mentre i beneficiari dell’attività del mediatore sono le parti. Inoltre, la riservatezza e la confidenzialità degli incontri, l’assenza di processo verbale e di relazione da parte del mediatore, la natura esclusivamente compositiva dell’intervento, la volontarietà dell’accesso al percorso che esclude di per sé una nomina da parte del giudice, una formulazione di quesito e un giuramento, confermano l’inconciliabilità tra i due istituti. Infine, essendo l’attività del mediatore svolta su incarico e nell’interesse delle parti, il relativo compenso è concordato tra questi ultimi e il mediatore e non liquidato dal giudice. Ciò premesso, l’A.I.Me.F. ritiene che l’art. 155 sexies c.c. si riferisca all’esperto mediatore familiare quale nuova figura tipica, extraprocessuale e che, in ragione di ciò, sia opportuno regolare l’accesso alle sue specifiche prestazioni in base alle seguenti LINEE GUIDA OPERATIVE: in applicazione dell’art.155 sexies c.c. il provvedimento del giudice potrebbe essere del seguente tenore: “Il giudice, sentite le parti ed ottenuto il loro consenso, riservato ogni provvedimento, rinvia l’udienza al………..…..… per permettere alle parti di raggiungere un accordo avvalendosi di esperti mediatori familiari”; a prescindere dalla fase e dal grado di giudizio, in caso le parti vogliano spontaneamente accedere ad un percorso di mediazione familiare è necessario che le medesime, tramite i loro legali rappresentanti, facciano istanza congiunta al giudice per sospendere l’iter giudiziario, rinviando la trattazione della causa per un tempo adeguato al percorso mediativo; è necessario tenere distinte le figure processuali del CTU di cui all’art.61 e ss c.p.c. e degli altri ausiliari del giudice ex art.68 c.p.c. da quella extraprocessuale dell’esperto mediatore, cui le parti possono accedere ai sensi dell’art.155 sexies c.c.; è preferibile che il giudice non disponga un invio coatto indiretto in mediazione familiare (in ambito di Consulenza Tecnica d’Ufficio) ma che, all’occorrenza, si limiti a sensibilizzare le parti e i loro legali sulle opportunità che la risorsa offre, invitandoli al più ad un incontro informativo con un mediatore familiare qualificato, senza obbligo di accesso al percorso di mediazione; allo scopo è necessario rendere accessibile alle parti e agli organi tradizionali del processo un elenco dei mediatori familiari esperti a favorire la comunicazione e la negoziazione finalizzata agli accordi di separazione distinto da quello dei CTU e degli altri ausiliari del giudice. L’A.I.Me.F. chiede di rendere disponibile e consultabile l’elenco dei propri associati presso la Cancelleria della Sez. Famiglia del Tribunale o della Volontaria Giurisdizione; il professionista incaricato dovrà tenere sempre presente il suo ruolo e la sua funzione a seconda dell’incarico ricevuto e precisamente: a) quando è nominato dal giudice in funzione di CTU, il consulente, qualora dovesse essere  anche mediatore familiare, dovrà attenersi all’incarico ricevuto nei limiti del quesito e svolgere le attività processuali previste e regolate dal c.p.c., senza avviare un percorso di mediazione familiare; b) quando è chiamato dalle parti in funzione di mediatore familiare, il mediatore, qualora dovesse essere iscritto anche nell’albo dei CTU, dovrà svolgere l’attività di mediazione con intento compositivo e negoziale, astenendosi da valutazioni e da altre attività precluse al mediatore familiare dal suo codice deontologico”.

[7] SPADARO G.-CHIARAVALLOTI S., ibidem, 243.