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La violenza che non ti aspetti..

Il 25 novembre si celebra la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne ma non tutti sanno che l’Onu nel 1999 ha scelto questa data perché nel 1960 in Repubblica Domenicana fu il giorno in cui vennero uccise in un attentato tre coraggiose sorelle, Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, per aver combattuto il regime autoritario di Rafael Trujillo.

Sono tante le iniziative promosse in questa giornata per sensibilizzare giovani e meno giovani al rispetto della donna e al contrasto contro la violenza sulle donne, riconosciuta a livello internazionale come un crimine contro l’Umanità.

Nell’immaginario collettivo, la prima cosa che viene in mente quando si parla di violenza o di “femminicidio” è la violenza fisica, quella comprovata dalle ferite, dai lividi e nei casi più gravi dalle morti.

Eppure ci sono tante forme di violenza, sottili, subdole che si insinuano nel tempo in un rapporto di coppia, già dal periodo del fidanzamento, e che vengono fuori soltanto nel momento in cui, talvolta, è troppo tardi per tornare indietro.

Nella mia attività professionale di avvocato della crisi familiare, mi ritrovo spesso ad essere depositaria di confidenze di donne che hanno subito e continuano a subire i soprusi e le prepotenze dei loro uomini, ma che non sempre trovano il coraggio di denunciare perché si sentono sole ed hanno paura delle possibili reazioni ritorsive dei loro mariti o compagni.

Mi rendo conto solo ora di quello che mi ha fatto”, mi sento dire, “ma come faccio? Non lavoro, anzi mi ha fatto pure lasciare il lavoro che avevo, mi ha detto che ci avrebbe pensato lui a mantenerci. Io dovevo solo occuparmi della famiglia, ma poi ogni volta che tornava a casa non gli andava mai bene niente, quello che cucinavo, come pulivo casa, come educavo i figli”; “Solo ora mi rendo conto di non avere un centesimo, né un futuro per me, mi ha tolto la dignità, mi ha isolato dalla mia famiglia e mi ha detto che mi toglierà pure i figli … Avvocato ho paura!”

Questa è VIOLENZA, una forma di violenza subdola che viene agita con il controllo totale della persona: “non fai niente tutto il giorno, tu dipendi da me in tutto e devi essermi grata”; “Questi soldi possono bastarti, sono io che lavoro e quindi spendi solo ciò che dico io e quanto dico io”; “tu non sei nulla senza di me, dove credi di poter andare? Se non riesci a mantenere neppure te stessa, pensi che potrai occuparti anche dei miei figli? Te li farò togliere!” “E’ colpa tua se mi fai arrabbiare, sei tu che mi provochi, ma lo sai che io nonostante tutto ti amo!”.

Ti amo???!!! NO!! Questo non è amore, è VIOLENZA! Questo non è amore, è CONTROLLO OSSESSIVO, disarmante, che annienta la dignità ed il senso di autostima di chi lo subisce.

Dal 1960 sono passati 60 anni ed ancora oggi, alle porte del 2023, continuiamo a parlare di violenza sulle donne e di femminicidi. Le cronache locali e nazionali ci riportano dati allarmanti sulle morti di donne per mano dei loro mariti o compagni (89 vittime al giorno, di cui il 65% di casi in famiglia).

E’ un problema culturale, di educazione al rispetto dell’altro e al riconoscimento della parità di genere in ogni ambito della vita civile, a partire dalla famiglia e dalla scuola.

Lascio agli esperti di politica legislativa le valutazioni del perché ancora oggi, e nonostante gli interventi normativi degli ultimi anni (il più recente è il c.d. Codice Rosso – legge 19 luglio 2019, n. 69), i dati statistici sulla violenza contro le donne, soprattutto nel contesto familiare, ci facciano rabbrividire.

E allora, cominciamo a fare qualcosa nel nostro piccolo: rendiamoci conto dei campanelli d’allarme della violenza, dei gesti apparentemente amorevoli ma di fatto ossessivamente controllanti dei nostri partner, mettiamoci in ascolto con i nostri sentimenti e le nostre emozioni. Se il mio compagno, marito o fidanzato mi dà uno schiaffo, come mi sento? Mi piace se non mi lascia libera di vestirmi come voglio, se mi vieta di frequentare le mia amiche, se pretende di controllare il mio telefono, se dice di essere geloso se vado in palestra o prendo semplicemente un caffè con un’amica?

“Quello che noi facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma se non lo facessimo l’oceano avrebbe una goccia in meno. Se anche tu diventerai una goccia d’acqua pulita, saremo già in due. E se lo sarà anche tua moglie o tuo marito, saremo in tre e poi in quattro, dieci, cento” (Madre Teresa di Calcutta).

Cominciamo da ciascuna di noi, guardiamo cosa ci accade nelle nostre case e chiediamoci se possiamo iniziare a fare qualcosa per recuperare la nostra dignità.

Molte donne hanno cominciato a farlo! Adesso tocca a te!

Genitore percettore di reddito di cittadinanza e inadempiente all’obbligo di mantenimento del figlio?  

Genitore percettore di reddito di cittadinanza e inadempiente all’obbligo di mantenimento del figlio?  Il Tribunale può ordinare al terzo il versamento diretto dell’assegno mensile e disporre anche il sequestro di immobile, ai sensi dell’art 156, c.6, c.c. (Ordinanza del Tribunale di Lecce – Seconda Sezione Civile, 28 marzo 2022, Presidente est. Dr.ssa Annafrancesca Capone)

IL CASO: Con sentenza di separazione tra i coniugi, il Tribunale di Lecce aveva posto a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia convivente con la madre, mediante versamento in favore di quest’ultima dell’importo di € 150 mensili, oltre che di concorrere alla metà delle spese straordinarie.

Il padre si era reso totalmente inadempiente a tale obbligo, nonostante fosse stato più volte diffidato a provvedervi, dapprima mediante la notifica di un atto di precetto, poi con raccomandata a.r. di formale messa in mora per il pagamento degli ulteriori ratei di mantenimento nel frattempo maturati e non versati.

Perdurando l’inadempimento ed in difetto di assoluto riscontro da parte del genitore obbligato, la madre ha richiesto al Tribunale adito, ai sensi dell’art. 156, c. 6, c.c., di ordinare all’INPS – quale Ente tenuto all’erogazione del reddito di cittadinanza in favore del padre – di versare direttamente in suo favore l’importo dovuto come contributo mensile al mantenimento della figlia, nonché di autorizzare il sequestro della piena proprietà di un immobile del medesimo genitore obbligato, sino alla concorrenza della somma ritenuta di giustizia.

LA DECISIONE: Il Tribunale, con la decisione in commento, accoglie integralmente il ricorso proposto dalla madre, muovendo dalle seguenti considerazioni: si tratta, innanzitutto, di verificare se l’ordine al terzo sia strumento utilizzabile in caso di percezione da parte dell’obbligato del reddito di cittadinanza e se vi siano i presupposti per il sequestro di cui all’art. 156, c. 6 c.c..

Con riferimento al primo punto, ritiene il Collegio di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il reddito di cittadinanza, in quanto sprovvisto di natura alimentare ed avente carattere di misura di politica attiva dell’occupazione, può essere attinto da un ordine di pagamento diretto per tutelare i bisogni primari dei figli”. In senso conforme, si confronti la decisione del Tribunale di Trani del 30.01.2020.

Peraltro, secondo l’orientamento della Suprema Corte, la facoltà del Tribunale di ordinare che una quota dei redditi di lavoro del coniuge obbligato venga versata direttamente all’avente diritto non è soggetta alle limitazioni riguardanti la pignorabilità degli stipendi, specie in tema di contributo al mantenimento dei figli, stante la sua funzione alimentare (Cass. n. 2847/78; Cass. n. 15374/07; Trib. Roma, 3.06.2009).

Va aggiunto, altresì, che l’ordine di pagamento diretto può essere emesso per l’intera somma dovuta dal terzo quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente l’assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge a percepire l’assegno di mantenimento per il figlio.

E’ pacifica, poi, l’applicazione estensiva dello strumento dell’ordine del terzo previsto dall’art. 156, c. 6, c.c. per l’ottenimento, in difetto di spontaneo pagamento, delle somme dovute da un coniuge all’altro a titolo di assegno di mantenimento della prole (cfr. Cass. civ. Sez. I, 04-12-1996, n. 10813).

Quanto al secondo punto, il Tribunale di Lecce con l’ordinanza in commento ha precisato che “la totale inadempienza del resistente e la precarietà del reddito dallo stesso percepito giustificano il sequestro di cui all’art. 156, c. 6 c.c., sussistendo il rischio che l’obbligo di mantenimento resti inadempiuto (almeno in parte) anche in futuro. Peraltro, è pacifico che l’ordine al terzo ed il sequestro dei beni del coniuge possono essere concessi contemporaneamente (Cass., n. 9671/2013). Sull’importo del sequestro, tenuto conto della prevedibile durata dell’assegno (considerato fino a 28 anni di età della figlia, visto che la stessa frequenta l’Università) e tenuto anche conto che – oltre all’assegno ordinario – vanno considerate le spese straordinarie, appare opportuno stabilirlo in € 15.000,00”.

Alla luce di tali argomentazioni, il Tribunale, in accoglimento del ricorso proposto dalla madre, ha ordinato all’INPS di versare direttamente in favore di essa la somma di € 150,00 al mese, decurtandola dagli emolumenti corrisposti al padre quale reddito di cittadinanza ed ha autorizzato altresì il sequestro dell’immobile di sua proprietà, ai sensi dell’art. 156, c. 6, c.c., fino alla concorrenza di € 15.000,00 con condanna del resistente al pagamento delle spese e competenze legali del giudizio.

La legge sul divorzio compie 50 anni: “l’inno all’amore” dell’On.le Nilde Iotti

Il 1 dicembre scorso la legge sul divorzio ha compiuto 50 anni.  

La legge numero 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio) – conosciuta come “Fortuna-Baslini”, dal nome dei due deputati, Loris Fortuna (socialista) e Antonio Baslini (liberale) primi firmatari – fu approvata definitivamente dalla Camera il primo dicembre del 1970, in seguito a una seduta parlamentare che durò oltre 18 ore.  

Essa rappresenta una pietra miliare nella lotta per i diritti civili. 

Il 25 novembre 1969, quando l’iter legislativo era ormai alle ultime battute, l’Onorevole Nilde Iotti chiese la parola in seno alla Camera dei Deputati e tenne un discorso diventato famoso nella storia dell’affermazione dei diritti delle donne all’interno del diritto di famiglia e del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio. 

Le parole di Nilde Iotti sono un vero inno all’amore, un inno ai sentimenti che costituiscono il vero motivo che spinge oggi un uomo ed una donna a contrarre matrimonio e a costituire una famiglia”, scelta non più dettata, come in passato, da motivi di accasamento, di procreazione dei figli, di trasmissione del patrimonio e neppure da un fine di mutua assistenza. 

Precisa Nilde Iotti che i sentimenti da cui trae fondamento il matrimonio non vanno intesi come  

qualcosa di fragile o di sentimenti basati soltanto sull’attrazione fisica, che è cosa ben diversa dal sentimento che spinge al matrimonio, anche se l’attrazione fisica è parte di esso, e qualche volta ne costituisce il punto iniziale. Noi parliamo di sentimenti che investono profondamente la personalità dell’individuo” 

quei sentimenti che portano un uomo e una donna a donarsi reciprocamente l’uno all’altra, realizzando e affermando se medesimi nella famiglia e nella società.  

La famiglia, proprio perché basata sui sentimenti 

 “diviene centro di vita morale e di solidarietà” e “fondata su questa base essa non è un fatto caduco o destinato a passare, al contrario”. 

I sentimenti costituiscono, dunque, la base morale del matrimonio.  

Occorre, tuttavia, prendere consapevolezza che  

per quanto siano forti i sentimenti che uniscono un uomo e una donna – in ogni tempo, ma soprattutto, direi, nel mondo di oggi – essi possono anche mutare; e quando non esistono più i sentimenti, non esiste neppure più, per le ragioni prima illustrate, il fondamento morale su cui si basa la vita familiare. Abbiamo dunque bisogno di ammettere la possibilità della separazione e dello scioglimento del matrimonio”. 

Peraltro, se è vero che il divorzio mette fine al vincolo coniugale, esso non può considerarsi il momento di rottura di un matrimonio, risalente, piuttosto, alla fase precedente della separazione: la rottura della famiglia comincia, infatti, nel momento in cui i coniugi decidono di separarsi, ossia quando, per essersi logorati i sentimenti che mantengono uniti marito e moglie, la convivenza non è più possibile e quindi quella famiglia non ha più il suo fondamento morale. 

Né può pensarsi che un matrimonio debba e possa rimanere in vita per il bene dei figli. Al contrario:  

la condizione dei figli in una famiglia tenuta insieme per forza, in una famiglia dove la violenza o, peggio – dico peggio – l’indifferenza sono alla base dei rapporti dei coniugi, è la peggiore possibile, e causa la devastazione della loro personalità; peggio, assai peggio, questa condizione che non quella di un figlio o di più figli che vivono con uno solo dei genitori separati, perché almeno in questo caso è possibile mantenere un minimo di rispetto per i genitori, mentre nell’ambito di una famiglia basata o sulla violenza o, peggio ancora, sull’indifferenza dei coniugi, non può più aversi neppure il rispetto dei figli nei confronti dei genitori”. 

Nilde Iotti declama, poi, a gran voce la necessità che lo Stato rispetti e riconosca l’autonomia della famiglia, quale organismo che ha una sua vita e sue leggi morali, pur valorizzando il senso di grande responsabilità a cui sono tenuti i coniugi, reciprocamente verso se stessi e nei confronti dei figli. 

quando si tratta della famiglia siamo di fronte a una sfera di interessi e di sentimenti in cui lo Stato meno ci mette la mano e meglio fa”, “lo Stato deve perciò limitarsi ad esigere dai contraenti il matrimonio, dai protagonisti della famiglia, un grande senso di responsabilità; deve fissare le norme, molto precise, perché i cittadini siano obbligati a questo senso di responsabilità, e deve intervenire nella tutela dei figli”,  

Quindi, i nuovi principi fondanti una famiglia devono essere: “corresponsabilità dei due coniugi”, “parità dei coniugi nella conduzione della famiglia e nell’esercizio della patria potestà comune”, “comunione dei beni nel corso del vincolo familiare”. 

A tutela della prole, poi, lo Stato deve intervenire per far sì che nel momento della rottura dell’unità familiare, si mantenga il più possibile una relazione tra genitori e figli “che non solo abbia in sé rispetto, ma sia piena e completa”. Da qui la richiesta di abolire la colpa nella separazione (attesa la sua innegabile incidenza negativa nel rapporto tra i figli e il genitore accusato di colpa) e l’esigenza di ispirare tutte le norme in tema di affidamento esclusivamente all’interesse della prole, a prescindere da chi, tra i due coniugi, fosse il responsabile della fine del matrimonio. 

Una particolare attenzione rivolge Nilde Iotti ai figli nati fuori del matrimonio, che all’epoca erano stigmatizzati come “irregolari”, “adulterini”, e di cui Ella invoca il riconoscimento giuridico quale unica soluzione morale giusta, perché anche i figli nati fuori del matrimonio potessero avere la loro collocazione normale nella società e fossero riconosciuti, pure agli effetti legali, quali componenti di una loro famiglia. 

 “I figli non chiedono di venire al mondo e la responsabilità del fatto che siano venuti al mondo non è loro, è dei genitori che li hanno messi al mondo. Non può quindi ricadere su di loro la responsabilità dei genitori”. 

Come noto, il testo originario della legge sul divorzio ha subito diversi rimaneggiamenti nel corso di questi 50 anni, di pari passo con l’evoluzione del costume sociale e con la formazione di nuovi modelli di famiglia, come quello delle unioni omoaffettive che oggi – dopo la L. n. 76/2016 – trovano riconoscimento a livello sociale e giuridico.  

Qualche anno dopo l’approvazione della legge sul divorzio, nel 1975 fu emanata la legge sulla riforma del diritto di famiglia (n. 151) con cui è stata data piena attuazione, in seno al codice civile, al principio costituzionale di parità tra uomo e donna all’interno della famiglia. Sono susseguite altre conquiste, a livello legislativo, frutto di battaglie condotte nel segno della civiltà e di una moderna concezione delle libertà e dei diritti fondamentali delle persone. Nel 2006, con la c.d. legge sull’affidamento condiviso (n. 54), viene introdotto il principio della bi-genitorialità, in base al quale è stato riconosciuto il diritto dei figli di mantenere rapporti equilibrati con entrambi i genitori anche dopo la cessazione della loro convivenza, di ricevere cura, istruzione e educazione da entrambi e di mantenere rapporti con gli ascendenti e i parenti di ciascun ramo genitoriale. Deve attendersi ancora il  2012 per un’altra svolta epocale nell’alveo del diritto di famiglia: l’affermazione di un unico status giuridico della filiazione. Oggi tutti i figli, siano essi nati in costanza che fuori del matrimonio, adottivi o concepiti mediante il ricorso alla procreazione medicalmente assistita, sono uguali per la legge, senza distinzione di sorta e con il pieno riconoscimento giuridico dei legami parentali. 

Diritti delle donne: il discorso sul divorzio di Nilde Iotti, 1969 – Rai Teche

Emergenza Coronavirus, chiarimenti dal Ministero: si a passeggiate vicino casa con bambini, anziani e inabili.

E’ di oggi 31 marzo una nuova circolare del Ministero dell’Interno per fornire alcuni «chiarimenti» in merito al divieto di assembramento e di spostamento delle persone.

Si chiarisce ancora una volta che tali restrizioni rispondono alla finalità di prevenire e di ridurre la propagazione del contagio.

Cionondimeno vanno tenute in conto le specifiche esigenze delle singole situazioni concrete.

In tale ottica, è consentito ad un solo genitore di fare una passeggiata con i propri figli minori purché in prossimità della propria abitazione, in quanto tale attività può essere ricondotta alle attività motorie all’aperto.

E’ possibile inoltre fare una passeggiata vicino casa quando ciò è giustificato da motivi di necessità o di salute.

Sono consentiti invece gli spostamenti, sempre nei pressi della propria abitazione, di persone anziane o inabili, accompagnate da chi ne cura l’assistenza, poiché anche questi spostamenti sono considerati giustificati da motivi di necessità o di salute.

Chiaramente anche in questi frangenti non bisogna mai dimenticare una regola fondamentale, quella del buonsenso: rimanere fuori casa il minimo necessario ed indispensabile, rispettare il divieto di assembramento, mantenere le distanze, e tutelare la propria e l’eltrui salute utilizzando sempre dispositivi di protezione personale (mascherine e guanti).

Un modo semplice ma efficace per spiegare ai bambini come combattere il Coronavirus e quali sono le regole da rispettare.


Condivido e consiglio la visione del video riportato qui sotto. Gli autori spiegano ai più piccoli, in modo semplice ma efficace, come combattere il Coronavirus e quali sono le regole da rispettare. Il video è stato ideato, prodotto e realizzato dalle persone che compaiono nei titoli di coda, che si ringraziano per l’ottimo lavoro svolto.

Il diritto di visita dei genitori separati/divorziati ai tempi del Coronavirus.

Dopo l’ordinanza del Ministero dell’Interno e della Salute del 22.03.2020, che riguarda il divieto di spostamento tra Comuni diversi, come comportarsi in ordine al diritto di visita dei figli minori?
Qualche consiglio per i genitori separati e divorziati… spero possa essere utile.

E’ convivenza anche senza coabitazione: quali sono gli effetti sull’assegno divorzile percepito dall’ex coniuge?

L’esistenza di una relazione affettiva, stabile e duratura tra due partner, caratterizzata dalla spontanea assunzione di reciproci obblighi di collaborazione e di contribuzione ai bisogni della nuova famiglia è idonea a configurare una convivenza di fatto, rilevante per il diritto, anche se i due partner non coabitano sotto lo stesso tetto.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione che ha cambiato recentemente il proprio indirizzo giurisprudenziale. Difatti, se in passato la coabitazione era considerata come un indice rilevante e ricorrente dell’esistenza di una famiglia di fatto, individuando essa l’esistenza di una casa comune all’interno della quale si svolge il programma di vita comune, secondo il più recente arresto giurisprudenziale per individuare un rapporto di convivenza è sufficiente che sussista un legame stabile tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, anche quando non sia contraddistinto da coabitazione.

In proposito, con la recente sentenza del 13 aprile 2018, n. 9178 la Corte di Cassazione, richiamando e dando continuità al principio già espresso con la sentenza n. 7128 del 2013 ha chiarito che “è anche necessario prendere atto del mutato assetto della società, (…omissis…) dal quale emerge che ai fini della configurabilità di una convivenza di fatto, il fattore coabitazione è destinato ad assumere ormai un rilievo recessivo rispetto al passato… A ciò si aggiunga, come ulteriore componente di cambiamento del modo di vivere e di concepire sia i rapporti sociali in generale che le relazioni interpersonali, la maggiore facilità ed economicità sia dei contatti telefonici e a video che dei trasporti. Tutti questi fattori di un cambiamento sociale che è ormai verificato nella società comportano che si instaurino e si mantengano rapporti affettivi stabili a distanza con frequenza molto maggiore che in passato (non solo nella famiglie di fatto ma, ugualmente, anche all’interno delle famiglie fondate sul matrimonio) e devono indurre a ripensare al concetto stesso di convivenza, la cui essenza non può appiattirsi sulla coabitazione. Sono tutte situazioni in cui può esistere una famiglia di fatto o una stabile convivenza, intesa come comunanza di vita e di affetti, in un luogo diverso rispetto a quello in cui uno dei due conviventi lavori o debba, per suoi impegni di cura e assistenza, o per suoi interessi personali o patrimoniali, trascorrere gran parte della settimana o del mese, senza che per questo venga meno la famiglia. Esistono anche realtà in cui le famiglie, siano esse di fatto o fondate sul matrimonio, si formano senza avere neppure, per un periodo di tempo più o meno lungo, una casa comune, intesa come casa dove si svolge la vita della famiglia, in quanto ognuno dei due partner è tenuto per i propri impegni professionali o per particolari esigenze personali, a vivere o a trascorrere la gran parte della settimana o del mese in un luogo diverso dall’altro. Alla luce di tutti questi elementi non ha più alcun senso appiattire la nozione di convivenza sulla esistenza di una coabitazione costante tra i partner, lasciando fuori dai margini della tutela ogni altra relazione, che pur sia stabile sia affettivamente sia sotto il profilo della reciproca assunzione di un impegno di assistenza e di collaborazione all’adempimento degli obblighi economici, ma sia dotata di un assetto organizzativo della vita familiare diverso da quello tradizionale (…omissis…) Il dato della coabitazione, all’interno dell’elemento oggettivo della convivenza è quindi attualmente un dato recessivo. Esso deve essere inteso come semplice indizio o elemento presuntivo della esistenza di una convivenza di fatto, da considerare unitariamente agli altri elementi allegati e provati e non come elemento essenziale di essa, la cui eventuale mancanza, di per sé, possa legittimamente portare ad escludere l’esistenza di una convivenza. La nozione di convivenza di fatto, intesa come un rapporto di fatto che si caratterizzi, oltre che per l’esistenza di una relazione affettiva consolidata, per la spontanea assunzione di diritti ed obblighi, tali da darle una stabilità assimilabile a quella coniugale, peraltro trova ora il suo supporto normativo nella L. n. 76 del 2016, che all’art. 1, definisce i conviventi di fatto come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, individuando sempre l’elemento spirituale, il legame affettivo, e quello materiale o di stabilità, la reciproca assistenza morale e materiale, fondata in questo caso non sul vincolo coniugale e sugli obblighi giuridici che ne scaturiscono, ma sull’assunzione volontaria di un impegno reciproco“.

Questo nuovo orientamento giurisprudenziale è destinato ad avere importanti ripercussioni sull’assegno divorzile percepito dall’ex coniuge che abbia instaurato una convivenza, benché senza coabitare stabilmente con il partner.

L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso (cfr. Cass. civ., Sez. I, 03 aprile 2015, n. 6855 – cassa e decide nel merito, App. Lecce, 13.07.2011 – conforme Cass. civ., Sez. VI – 1, ord. 8 febbraio 2016, n. 2466).

In applicazione di tale principio, la giurisprudenza di merito si è spinta oltre le statuizioni della Corte di Cassazione, escludendo il diritto all’assegno di divorzio anche nel caso in cui l’ex coniuge richiedente l’assegno non conviva con il nuovo compagno, quando comunque risulti da altre circostanze che il medesimo ha creato una famiglia di fatto con un’altra persona.

In tal senso si è espresso testualmente il Tribunale di Como con ordinanza del 12 aprile 2018: “La costituzione del nucleo familiare di fatto non è esclusa per il sol fatto che i due partner abbiano liberamente optato per soprassedere, al momento, dalla instaurazione di una stabile convivenza, il che del resto ben può avvenire anche per le coppie coniugate; anche in costanza di matrimonio, infatti, il dovere di coabitazione può essere derogato, per accordo tra i coniugi, nel superiore interesse della famiglia, per ragioni di lavoro, studio ecc.. sì da non escludere la comunione di vita interpersonale (cfr. Cass. 19439/11, 17537/03), e quindi non si vede perché non possa essere esercitabile detta facoltà anche da parte delle coppie non coniugate, unite affettivamente, e legate anche da reciproci diritti e doveri nei confronti della prole, le quali quindi ben possono essere intese come nucleo familiare di fatto o modello familiare atipico, anche in difetto di stabile coabitazione, ove il loro legame integri una comunione di vita interpersonale”.

Anche il Tribunale di Lecce – Seconda Sezione Civile, con provvedimento del 02 marzo 2020 (n. cronol. 1193/2020) ha revocato l’assegno divorzile previsto in favore della ex moglie in considerazione di due circostanze sopravvenute alla sentenza di divorzio: 1) la stabile relazione affettiva, vissuta e ostentata pubblicamente dalla signora con il proprio compagno, anche in presenza della figlia quattordicenne nata dal precedente matrimonio, benché i due partner non coabitassero sotto lo stesso tetto; 2) l’avvio di un’attività lavorativa da parte della ex moglie che le avrebbe consentito di provvedere in modo autonomo alle proprie esigenze di mantenimento.

Percorso di sostegno alla genitorialità in fase di separazione e divorzio. Il sì della Corte di Cassazione. Riflessioni a margine della sentenza della Corte di Cassazione del 06 maggio 2019 n. 11842.

L’invio della coppia in mediazione familiare come strumento di sostegno della genitorialità è una delle misure che ben può essere adottata dal Tribunale per salvaguardare il diritto al rispetto della vita privata e familiare di cui all’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.

La corretta interpretazione della disposizione richiamata, infatti, impone agli Stati contraenti non solo di astenersi da ingerenze arbitrarie nella vita familiare (i c.d. obblighi negativi), ma anche di adottare i c.d. obblighi positivi, diretti ad assicurare l’effettivo rispetto della vita privata e familiare; obblighi che possono implicare la predisposizione di interventi che permettano il corretto mantenimento delle relazioni genitoriali e che non implicano esclusivamente che le autorità vigilino affinché il minore possa mantenere contatti con entrambi i genitori separati, comprendendo piuttosto tutte le misure propedeutiche al raggiungimento di questo risultato, fornendo risposte non deboli, tempestive ed adeguate al caso concreto. Per essere adeguate, le misure deputate a riavvicinare il genitore non collocatario con il figlio minore devono essere attuate rapidamente, perché il trascorrere del tempo può avere conseguenze irrimediabili sulle relazioni tra il fanciullo e quello dei genitori che non vive con lui. Non deve, dunque, trattarsi di misure stereotipate ed automatiche. (vd. Corte Eur. Dir. Uomo, sez. II, sentenza 29 gennaio 2013 – causa Lombardo c. Italia; Corte Eur. Dir. Uomo,  sentenza 17 novembre 2015 – causa Bondavalli c. Italia; Corte Eur. Dir. Uomo sentenza 23 marzo 2016 – causa Strumia c. Italia; Corte Eur. Dir. Uomo sentenza 15 settembre 2016 – causa Giorgioni c. Italia).

A questa chiave di lettura, per così dire convenzionalmente orientata, anche ai sensi dell’art. 117 Cost. (che impone il rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali) può essere ricondotta la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 11842 del 02 aprile – 06 maggio 2019 in materia di separazione personale tra coniugi. La Suprema Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali, per superare le difficoltà relazionali riscontrate nella coppia genitoriale in fase di separazione, avevano ritenuto opportuno che i genitori intraprendessero un percorso di mediazione familiare, disponendo testualmente che il consultorio “prenda in carico il nucleo familiare e predisponga un percorso di sostegno psicologico della minore e di supporto alla genitorialità di entrambe le parti“, e ciò a tutela del pieno interesse della minore. Tale decisione deve ritenersi compatibile con il rispetto dell’altrui diritto soggettivo genitoriale, in questa materia – chiarisce la Suprema Corte – subordinato al preminente interesse del minore che, nel caso di specie era a rischio di pregiudizio per l’elevata conflittualità genitoriale, sulla quale tuttavia era possibile incidere positivamente proprio mediante l’attivazione di un percorso di mediazione familiare a sostegno della genitorialità, al fine di prevenire ulteriori gravi danni al minore.

Naturalmente, il percorso di mediazione familiare è e rimane volontario; quindi anche quando la coppia arriva in mediazione su sollecitazione del Tribunale, è la coppia medesima, che dopo il primo incontro informativo con il mediatore, ha facoltà di decidere se intraprendere e/o proseguire il percorso mediativo e, dunque, di decidere liberamente e responsabilmente se darsi o meno l’opportunità di vivere e gestire la separazione con consapevolezza e maturità, soprattutto nell’interesse dei figli.

Il mediatore familiare è un “traghettatore” della comunicazione, come lo definisce icasticamente il prof. Vittorio Cigoli, una guida che orienta le parti a trovare da sé soluzioni condivise, sviluppando e valorizzando la loro autonomia decisionale e negoziale. Ruolo del mediatore è “stare nel mezzo” per motivare e spronare senza manipolare. Il mediatore familiare non difende e non rappresenta nessuno dei due componenti della coppia che sono posti su un piano di assoluta parità tra loro; è un terzo imparziale, che in un contesto neutrale e confidenziale, in assoluta autonomia dall’ambito giudiziario e nella garanzia del segreto professionale, li aiuta a riorganizzare la propria vita dopo la separazione senza delegare a terzi le proprie scelte in ordine a tutti gli aspetti, relazionali e patrimoniali della separazione nonché inerenti alla cura ed all’educazione dei figli. Tanto, sul presupposto che anche dopo la separazione si rimane genitori sempre, non vi siano un perdente ed un vincitore, ma entrambi i genitori ne escano vincenti insieme. Il mediatore non giudica, non dà consigli, non suggerisce soluzioni, aiuta i mediandi a trovare essi medesimi le soluzioni più atte a soddisfare le esigenze di tutti i componenti della famiglia, compresi i figli, nella diversa dimensione di genitori separati.

Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione precisa, altresì, che irrilevante e inconferente è il richiamo, operato daI ricorrente, ad una precedente pronuncia della stessa Corte di Cassazione, la sentenza n. 13506 del 05 marzo – 11 luglio 2015, laddove riteneva contraria e lesiva del diritto alla libertà personale costituzionalmente garantito e alla disposizione che vieta l’imposizione, se non nei casi previsti dalla legge, di trattamenti sanitari obbligatori (art. 32 Cost.), la decisione dei giudici di merito che aveva prescritto ai genitori di sottoporsi ad un percorso psicoterapeutico individuale e di coppia.

In quel caso, la coppia aveva già intrapreso un percorso di mediazione familiare, tuttavia, fallito a causa della condizione di immaturità della coppia genitoriale, rilevata in sede di CTU, che impediva il reciproco rispetto dei rispettivi ruoli stante l’elevato livello di conflitto personale. Pertanto, mentre il percorso di sostegno alla genitorialità che può essere realizzato attraverso un percorso di mediazione familiare è funzionale a garantire la centralità del minore nella vicenda separativa e  la tutela del suo diritto a mantenere rapporti equilibrati e continuativi con entrambi i genitori ancorché separati, il percorso psico-terapeutico, pur se in ultima analisi funzionale a garantire il benessere psico-fisico del minore, ha una finalità che esula dai poteri del giudice ed è estranea al giudizio, ossia quella di realizzare una maturazione personale dei genitori che deve rimanere affidata al loro diritto di autodeterminazione.

Il mediatore familiare, del resto, non svolge sedute di terapia di coppia, in quanto non ha come obiettivo il mantenimento o la ricostituzione del legame coniugale o di fatto, ma quello di garantire la continuità della funzione genitoriale in presenza di una volontà di separazione/divorzio espressa dalla coppia stessa.

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