Revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

IN ASSENZA DI FIGLI VA REVOCATA L’ASSEGNAZIONE ALLA MOGLIE DELLA CASA CONIUGALE DI PROPRIETÀ DI ENTRAMBI I CONIUGI, SE NELL’ACCORDO DI SEPARAZIONE IL PERIODO DI GODIMENTO DELL’ABITAZIONE È STATO LEGATO ALLA QUANTIFICAZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO (CASS. ORDINANZA N. 7939 DEL 20 MARZO 2019).

IL CASO: Un uomo adiva il Tribunale di Novara per chiedere, unitamente alla pronuncia della sentenza di divorzio, la revoca del godimento della casa coniugale assegnata alla moglie, in assenza di figli, in conformità all’accordo di separazione precedentemente raggiunto tra i coniugi. Tale accordo, in particolare, aveva creato un legame tra l’utilizzo della casa familiare e la quantificazione dell’assegno di mantenimento alla moglie, assegno che, difatti, veniva determinato consensualmente nella somma di euro 1.250,00 fino al momento della vendita dell’abitazione e, dopo tale evento, aumentato ad euro 2.000,00, comunque per la durata di tre anni. Sulla base di tale accordo, dunque, il giudice del divorzio revocava l’assegnazione della casa coniugale alla moglie, ritenendo non sussistenti i presupposti di legge per la conferma, in sede di divorzio, della sua assegnazione in assenza di figli.
La moglie impugnava la sentenza del Tribunale innanzi alla Corte d’Appello di Torino, chiedendo l’accertamento dell’inammissibilità della pronuncia di revoca dell’assegnazione della casa coniugale. La Corte tuttavia respingeva l’impugnazione proposta e confermava la sentenza di primo grado, osservando che l’accordo di separazione tra i due coniugi avesse unito la quantificazione del mantenimento della moglie all’utilizzazione della casa, trovando dunque causa nella separazione prima e nel divorzio poi, essendo diretto ad assolvere i doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alla cessazione della convivenza.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE: La signora promuoveva ricorso per cassazione lamentando che la sentenza impugnata avesse erroneamente negato la natura meramente negoziale, occasionata dalla separazione ma non causata da quest’ultima, della concessione in godimento dell’abitazione in comproprietà tra le parti, affermando l’esistenza di un nesso tra l’uso dell’immobile e la quantificazione dell’assegno di mantenimento. La Corte di Cassazione respingeva le doglianze della ricorrente, ritenendo che la Corte d’Appello avesse correttamente interpretato l’accordo di separazione tra i coniugi e, dunque, rigettava il ricorso.
Tale pronuncia si segnala, da un lato, perché riconduce la clausola del godimento della casa familiare al contenuto necessario dell’accordo di separazione tra i coniugi e, dall’altro, perché conferma la previsione anche in sede di divorzio di un assegno di mantenimento “a tempo” (per la durata complessiva di 36 mesi dalla cessazione del godimento dell’abitazione), al fine di evitare, evidentemente, rendite parassitarie a danno dell’ex coniuge obbligato e a favore di quello beneficiario.

Autore: Emanuela Palama'

Dal 2004 esercito su Lecce e nel Salento la professione forense nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori; curo separazioni, divorzi e questioni relative ai figli; mi occupo di coppie sposate, conviventi ed unite civilmente. Quello che faccio è ASCOLTARE, COMPRENDERE, TROVARE SOLUZIONI.