Genitore percettore di reddito di cittadinanza e inadempiente all’obbligo di mantenimento del figlio?  

Genitore percettore di reddito di cittadinanza e inadempiente all’obbligo di mantenimento del figlio?  Il Tribunale può ordinare al terzo il versamento diretto dell’assegno mensile e disporre anche il sequestro di immobile, ai sensi dell’art 156, c.6, c.c. (Ordinanza del Tribunale di Lecce – Seconda Sezione Civile, 28 marzo 2022, Presidente est. Dr.ssa Annafrancesca Capone)

IL CASO: Con sentenza di separazione tra i coniugi, il Tribunale di Lecce aveva posto a carico del padre l’obbligo di contribuire al mantenimento della figlia convivente con la madre, mediante versamento in favore di quest’ultima dell’importo di € 150 mensili, oltre che di concorrere alla metà delle spese straordinarie.

Il padre si era reso totalmente inadempiente a tale obbligo, nonostante fosse stato più volte diffidato a provvedervi, dapprima mediante la notifica di un atto di precetto, poi con raccomandata a.r. di formale messa in mora per il pagamento degli ulteriori ratei di mantenimento nel frattempo maturati e non versati.

Perdurando l’inadempimento ed in difetto di assoluto riscontro da parte del genitore obbligato, la madre ha richiesto al Tribunale adito, ai sensi dell’art. 156, c. 6, c.c., di ordinare all’INPS – quale Ente tenuto all’erogazione del reddito di cittadinanza in favore del padre – di versare direttamente in suo favore l’importo dovuto come contributo mensile al mantenimento della figlia, nonché di autorizzare il sequestro della piena proprietà di un immobile del medesimo genitore obbligato, sino alla concorrenza della somma ritenuta di giustizia.

LA DECISIONE: Il Tribunale, con la decisione in commento, accoglie integralmente il ricorso proposto dalla madre, muovendo dalle seguenti considerazioni: si tratta, innanzitutto, di verificare se l’ordine al terzo sia strumento utilizzabile in caso di percezione da parte dell’obbligato del reddito di cittadinanza e se vi siano i presupposti per il sequestro di cui all’art. 156, c. 6 c.c..

Con riferimento al primo punto, ritiene il Collegio di aderire all’orientamento giurisprudenziale secondo cui il reddito di cittadinanza, in quanto sprovvisto di natura alimentare ed avente carattere di misura di politica attiva dell’occupazione, può essere attinto da un ordine di pagamento diretto per tutelare i bisogni primari dei figli”. In senso conforme, si confronti la decisione del Tribunale di Trani del 30.01.2020.

Peraltro, secondo l’orientamento della Suprema Corte, la facoltà del Tribunale di ordinare che una quota dei redditi di lavoro del coniuge obbligato venga versata direttamente all’avente diritto non è soggetta alle limitazioni riguardanti la pignorabilità degli stipendi, specie in tema di contributo al mantenimento dei figli, stante la sua funzione alimentare (Cass. n. 2847/78; Cass. n. 15374/07; Trib. Roma, 3.06.2009).

Va aggiunto, altresì, che l’ordine di pagamento diretto può essere emesso per l’intera somma dovuta dal terzo quando questa non ecceda, ma anzi realizzi pienamente l’assetto economico determinato in sede di separazione con la statuizione che, in concreto, ha quantificato il diritto del coniuge a percepire l’assegno di mantenimento per il figlio.

E’ pacifica, poi, l’applicazione estensiva dello strumento dell’ordine del terzo previsto dall’art. 156, c. 6, c.c. per l’ottenimento, in difetto di spontaneo pagamento, delle somme dovute da un coniuge all’altro a titolo di assegno di mantenimento della prole (cfr. Cass. civ. Sez. I, 04-12-1996, n. 10813).

Quanto al secondo punto, il Tribunale di Lecce con l’ordinanza in commento ha precisato che “la totale inadempienza del resistente e la precarietà del reddito dallo stesso percepito giustificano il sequestro di cui all’art. 156, c. 6 c.c., sussistendo il rischio che l’obbligo di mantenimento resti inadempiuto (almeno in parte) anche in futuro. Peraltro, è pacifico che l’ordine al terzo ed il sequestro dei beni del coniuge possono essere concessi contemporaneamente (Cass., n. 9671/2013). Sull’importo del sequestro, tenuto conto della prevedibile durata dell’assegno (considerato fino a 28 anni di età della figlia, visto che la stessa frequenta l’Università) e tenuto anche conto che – oltre all’assegno ordinario – vanno considerate le spese straordinarie, appare opportuno stabilirlo in € 15.000,00”.

Alla luce di tali argomentazioni, il Tribunale, in accoglimento del ricorso proposto dalla madre, ha ordinato all’INPS di versare direttamente in favore di essa la somma di € 150,00 al mese, decurtandola dagli emolumenti corrisposti al padre quale reddito di cittadinanza ed ha autorizzato altresì il sequestro dell’immobile di sua proprietà, ai sensi dell’art. 156, c. 6, c.c., fino alla concorrenza di € 15.000,00 con condanna del resistente al pagamento delle spese e competenze legali del giudizio.

Revoca dell’assegnazione della casa coniugale.

IN ASSENZA DI FIGLI VA REVOCATA L’ASSEGNAZIONE ALLA MOGLIE DELLA CASA CONIUGALE DI PROPRIETÀ DI ENTRAMBI I CONIUGI, SE NELL’ACCORDO DI SEPARAZIONE IL PERIODO DI GODIMENTO DELL’ABITAZIONE È STATO LEGATO ALLA QUANTIFICAZIONE DELL’ASSEGNO DI MANTENIMENTO (CASS. ORDINANZA N. 7939 DEL 20 MARZO 2019).

IL CASO: Un uomo adiva il Tribunale di Novara per chiedere, unitamente alla pronuncia della sentenza di divorzio, la revoca del godimento della casa coniugale assegnata alla moglie, in assenza di figli, in conformità all’accordo di separazione precedentemente raggiunto tra i coniugi. Tale accordo, in particolare, aveva creato un legame tra l’utilizzo della casa familiare e la quantificazione dell’assegno di mantenimento alla moglie, assegno che, difatti, veniva determinato consensualmente nella somma di euro 1.250,00 fino al momento della vendita dell’abitazione e, dopo tale evento, aumentato ad euro 2.000,00, comunque per la durata di tre anni. Sulla base di tale accordo, dunque, il giudice del divorzio revocava l’assegnazione della casa coniugale alla moglie, ritenendo non sussistenti i presupposti di legge per la conferma, in sede di divorzio, della sua assegnazione in assenza di figli.
La moglie impugnava la sentenza del Tribunale innanzi alla Corte d’Appello di Torino, chiedendo l’accertamento dell’inammissibilità della pronuncia di revoca dell’assegnazione della casa coniugale. La Corte tuttavia respingeva l’impugnazione proposta e confermava la sentenza di primo grado, osservando che l’accordo di separazione tra i due coniugi avesse unito la quantificazione del mantenimento della moglie all’utilizzazione della casa, trovando dunque causa nella separazione prima e nel divorzio poi, essendo diretto ad assolvere i doveri di solidarietà coniugale per il tempo immediatamente successivo alla cessazione della convivenza.
LA DECISIONE DELLA CORTE DI CASSAZIONE: La signora promuoveva ricorso per cassazione lamentando che la sentenza impugnata avesse erroneamente negato la natura meramente negoziale, occasionata dalla separazione ma non causata da quest’ultima, della concessione in godimento dell’abitazione in comproprietà tra le parti, affermando l’esistenza di un nesso tra l’uso dell’immobile e la quantificazione dell’assegno di mantenimento. La Corte di Cassazione respingeva le doglianze della ricorrente, ritenendo che la Corte d’Appello avesse correttamente interpretato l’accordo di separazione tra i coniugi e, dunque, rigettava il ricorso.
Tale pronuncia si segnala, da un lato, perché riconduce la clausola del godimento della casa familiare al contenuto necessario dell’accordo di separazione tra i coniugi e, dall’altro, perché conferma la previsione anche in sede di divorzio di un assegno di mantenimento “a tempo” (per la durata complessiva di 36 mesi dalla cessazione del godimento dell’abitazione), al fine di evitare, evidentemente, rendite parassitarie a danno dell’ex coniuge obbligato e a favore di quello beneficiario.