E’ convivenza anche senza coabitazione: quali sono gli effetti sull’assegno divorzile percepito dall’ex coniuge?

L’esistenza di una relazione affettiva, stabile e duratura tra due partner, caratterizzata dalla spontanea assunzione di reciproci obblighi di collaborazione e di contribuzione ai bisogni della nuova famiglia è idonea a configurare una convivenza di fatto, rilevante per il diritto, anche se i due partner non coabitano sotto lo stesso tetto.

Ad affermarlo è la Corte di Cassazione che ha cambiato recentemente il proprio indirizzo giurisprudenziale. Difatti, se in passato la coabitazione era considerata come un indice rilevante e ricorrente dell’esistenza di una famiglia di fatto, individuando essa l’esistenza di una casa comune all’interno della quale si svolge il programma di vita comune, secondo il più recente arresto giurisprudenziale per individuare un rapporto di convivenza è sufficiente che sussista un legame stabile tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti, anche quando non sia contraddistinto da coabitazione.

In proposito, con la recente sentenza del 13 aprile 2018, n. 9178 la Corte di Cassazione, richiamando e dando continuità al principio già espresso con la sentenza n. 7128 del 2013 ha chiarito che “è anche necessario prendere atto del mutato assetto della società, (…omissis…) dal quale emerge che ai fini della configurabilità di una convivenza di fatto, il fattore coabitazione è destinato ad assumere ormai un rilievo recessivo rispetto al passato… A ciò si aggiunga, come ulteriore componente di cambiamento del modo di vivere e di concepire sia i rapporti sociali in generale che le relazioni interpersonali, la maggiore facilità ed economicità sia dei contatti telefonici e a video che dei trasporti. Tutti questi fattori di un cambiamento sociale che è ormai verificato nella società comportano che si instaurino e si mantengano rapporti affettivi stabili a distanza con frequenza molto maggiore che in passato (non solo nella famiglie di fatto ma, ugualmente, anche all’interno delle famiglie fondate sul matrimonio) e devono indurre a ripensare al concetto stesso di convivenza, la cui essenza non può appiattirsi sulla coabitazione. Sono tutte situazioni in cui può esistere una famiglia di fatto o una stabile convivenza, intesa come comunanza di vita e di affetti, in un luogo diverso rispetto a quello in cui uno dei due conviventi lavori o debba, per suoi impegni di cura e assistenza, o per suoi interessi personali o patrimoniali, trascorrere gran parte della settimana o del mese, senza che per questo venga meno la famiglia. Esistono anche realtà in cui le famiglie, siano esse di fatto o fondate sul matrimonio, si formano senza avere neppure, per un periodo di tempo più o meno lungo, una casa comune, intesa come casa dove si svolge la vita della famiglia, in quanto ognuno dei due partner è tenuto per i propri impegni professionali o per particolari esigenze personali, a vivere o a trascorrere la gran parte della settimana o del mese in un luogo diverso dall’altro. Alla luce di tutti questi elementi non ha più alcun senso appiattire la nozione di convivenza sulla esistenza di una coabitazione costante tra i partner, lasciando fuori dai margini della tutela ogni altra relazione, che pur sia stabile sia affettivamente sia sotto il profilo della reciproca assunzione di un impegno di assistenza e di collaborazione all’adempimento degli obblighi economici, ma sia dotata di un assetto organizzativo della vita familiare diverso da quello tradizionale (…omissis…) Il dato della coabitazione, all’interno dell’elemento oggettivo della convivenza è quindi attualmente un dato recessivo. Esso deve essere inteso come semplice indizio o elemento presuntivo della esistenza di una convivenza di fatto, da considerare unitariamente agli altri elementi allegati e provati e non come elemento essenziale di essa, la cui eventuale mancanza, di per sé, possa legittimamente portare ad escludere l’esistenza di una convivenza. La nozione di convivenza di fatto, intesa come un rapporto di fatto che si caratterizzi, oltre che per l’esistenza di una relazione affettiva consolidata, per la spontanea assunzione di diritti ed obblighi, tali da darle una stabilità assimilabile a quella coniugale, peraltro trova ora il suo supporto normativo nella L. n. 76 del 2016, che all’art. 1, definisce i conviventi di fatto come “due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile, individuando sempre l’elemento spirituale, il legame affettivo, e quello materiale o di stabilità, la reciproca assistenza morale e materiale, fondata in questo caso non sul vincolo coniugale e sugli obblighi giuridici che ne scaturiscono, ma sull’assunzione volontaria di un impegno reciproco“.

Questo nuovo orientamento giurisprudenziale è destinato ad avere importanti ripercussioni sull’assegno divorzile percepito dall’ex coniuge che abbia instaurato una convivenza, benché senza coabitare stabilmente con il partner.

L’instaurazione da parte del coniuge divorziato di una nuova famiglia, ancorché di fatto, rescindendo ogni connessione con il tenore ed il modello di vita caratterizzanti la pregressa fase di convivenza matrimoniale, fa venire definitivamente meno ogni presupposto per la riconoscibilità dell’assegno divorzile a carico dell’altro coniuge, sicché il relativo diritto non entra in stato di quiescenza, ma resta definitivamente escluso (cfr. Cass. civ., Sez. I, 03 aprile 2015, n. 6855 – cassa e decide nel merito, App. Lecce, 13.07.2011 – conforme Cass. civ., Sez. VI – 1, ord. 8 febbraio 2016, n. 2466).

In applicazione di tale principio, la giurisprudenza di merito si è spinta oltre le statuizioni della Corte di Cassazione, escludendo il diritto all’assegno di divorzio anche nel caso in cui l’ex coniuge richiedente l’assegno non conviva con il nuovo compagno, quando comunque risulti da altre circostanze che il medesimo ha creato una famiglia di fatto con un’altra persona.

In tal senso si è espresso testualmente il Tribunale di Como con ordinanza del 12 aprile 2018: “La costituzione del nucleo familiare di fatto non è esclusa per il sol fatto che i due partner abbiano liberamente optato per soprassedere, al momento, dalla instaurazione di una stabile convivenza, il che del resto ben può avvenire anche per le coppie coniugate; anche in costanza di matrimonio, infatti, il dovere di coabitazione può essere derogato, per accordo tra i coniugi, nel superiore interesse della famiglia, per ragioni di lavoro, studio ecc.. sì da non escludere la comunione di vita interpersonale (cfr. Cass. 19439/11, 17537/03), e quindi non si vede perché non possa essere esercitabile detta facoltà anche da parte delle coppie non coniugate, unite affettivamente, e legate anche da reciproci diritti e doveri nei confronti della prole, le quali quindi ben possono essere intese come nucleo familiare di fatto o modello familiare atipico, anche in difetto di stabile coabitazione, ove il loro legame integri una comunione di vita interpersonale”.

Anche il Tribunale di Lecce – Seconda Sezione Civile, con provvedimento del 02 marzo 2020 (n. cronol. 1193/2020) ha revocato l’assegno divorzile previsto in favore della ex moglie in considerazione di due circostanze sopravvenute alla sentenza di divorzio: 1) la stabile relazione affettiva, vissuta e ostentata pubblicamente dalla signora con il proprio compagno, anche in presenza della figlia quattordicenne nata dal precedente matrimonio, benché i due partner non coabitassero sotto lo stesso tetto; 2) l’avvio di un’attività lavorativa da parte della ex moglie che le avrebbe consentito di provvedere in modo autonomo alle proprie esigenze di mantenimento.

Autore: Emanuela Palama'

Dal 2004 esercito su Lecce e nel Salento la professione forense nell’ambito del diritto di famiglia e dei minori; curo separazioni, divorzi e questioni relative ai figli; mi occupo di coppie sposate, conviventi ed unite civilmente. Quello che faccio è ASCOLTARE, COMPRENDERE, TROVARE SOLUZIONI.