(tra i relatori, Avv. Emanuela Palama’)
La riforma dell’istituto della mediazione familiare
Intervento dell’Avv. Emanuela Palama’ al “V FORUM NAZIONALE DEI MEDIATORI”, 28.06.2013 presso la Camera dei Deputati – Sala della Mercede- Palazzo Marini, Roma.
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“La
risoluzione ottimale di una divergenza si trova tramite la persuasione morale e
l’accordo e non sotto coercizione”[1].
Tale assunto, espresso da Confucio, valevole per contese di qualunque natura, è
riferibile ancor più validamente alle controversie che involgono le relazioni
sentimentali legate ai rapporti familiari.
Di regola, l’accordo raggiunto da due parti in lite è il risultato di un
percorso teso a ristabilire,in primis, la
comunicazione interrotta e, dunque, il dialogo e la reciproca comprensione,
poiché – volendo mutuare un’altra citazione, questa volta di Albert Einstein
[2] “La pace non
può essere mantenuta con la forza, può essere solo raggiunta con la
comprensione” .
E la comprensione costituisce la chiave di lettura delle relazioni conflittuali
fornita dalla Mediazione familiare, istituto nato dall’esigenza di arginare i
preoccupanti livelli di litigiosità e di acredine riscontrati nei giudizi di
separazione personale dei coniugi e di divorzio, allo scopo di predisporre ed
offrire alla coppia “in crisi” uno strumento alternativo/suppletivo
di intervento sui conflitti familiari.
La parola “crisi” ha la sua derivazione etimologica dal greco “krisis” che
rimanda al concetto di scelta, ossia al momento che separa una maniera di
essere diversa da altra precedente. Anche nella nostra lingua l’etimologia
della parola crisi suggerisce un significato positivo: essa infatti contiene un
aspetto vitale che è quello della separazione, ed un aspetto di crescita, ossia
quello della scelta.
La crisi non è dunque un evento totalmente negativo, bensì un momento di
transizione che può essere anche opportunità di crescita: indica un’evoluzione,
un cambiamento. Nell’idea di crisi sono, quindi, incluse la nozione di problema
e quella di superamento del problema.
Orbene, il percorso di Mediazione familiare mira al superamento del problema,
della crisi di coppia, spostando l’obiettivo dalla “risoluzione” del conflitto
familiare alla “gestione” dello stesso, anelando al raggiungimento di un
accordo finale, teso a ristabilire la comunicazione interrotta tra i coniugi o
tra i conviventi more uxorio, a
ripristinare il dialogo reciproco attraverso tecniche atte a rendere la coppia
in conflitto partecipe, in eguale misura e su un piano di assoluta parità, di
scelte negoziate e condivise da entrambi inerenti alla riorganizzazione della
propria quotidianità, con particolare riguardo alle questioni educative e
relazionali della coppia ed alla gestione del rapporto con i figli [3].
In altre parole, la mediazione “rende
possibile la sfida di trasformare il dolore del conflitto in opportunità per
migliorare la qualità della propria vita e altrui esistenza…..“(M.
Martello mediatore familiare).
Più che uno “strumentario giuridico” o una “tecnica”, la Mediazione familiare è
un modus procedendi: in un primo momento, a
livello individuale, tende a far sì che ciascuna parte prenda coscienza della
situazione, delle ragioni che possono averla determinata, analizzi la realtà
familiare nel suo insieme, si apra alla prospettiva di interagire con l’altra
parte. In un secondo momento, ripristinato il dialogo e la comunicazione tra le
parti, inizia un percorso di collaborazione, di cui è fondamentale il rispetto
verso l’altro partner, che, spesso, nella immediatezza della frattura
dell’unione coniugale o di fatto, è percepito come un soggetto ostile e
inaffidabile, con il quale interrompere ogni comunicazione.
Il Mediatore familiare, dunque, deve essere un professionista altamente
qualificato e formato per poter facilitare la comunicazione tra i due partner,
rimanendo ‘estraneo’, terzo e imparziale, rispetto alla coppia ed al conflitto,
mantenendo quel distacco che gli consente di leggere correttamente i segnali ed
i messaggi, verbali e non, che emergono durante le sessioni di mediazione,
nell’interesse di entrambi e, soprattutto, dei figli.
Nel nostro ordinamento la Mediazione familiare ha fatto ingresso
molto timidamente; è tuttora inadeguatamente praticata e scarsamente
incentivata da una legge, quella sull’affidamento condiviso (L. 8 febbraio 2006
n. 54) [4], che non ha osato promuovere un passaggio preliminare obbligatorio
presso un centro di mediazione per le coppie in disaccordo, che permettesse
loro di valutare consapevolmente le potenzialità di un eventuale percorso,
limitandosi ad una blanda segnalazione alle coppie da parte del Giudice, a lite
iniziata, che, peraltro, non viene quasi mai effettuata [5]. E ciò, in
spregio alle istanze europee, che sin dagli anni ’90 hanno promosso il ricorso
alla Mediazione familiare come strumento idoneo non solo alla soluzione, ma
anche alla prevenzione, dei conflitti familiari [6].
Ed invero, se si considera che la coppia in conflitto, una volta recuperati il
dialogo e la comunicazione con l’ausilio del Mediatore familiare, viene posta
nelle condizioni di riappropriarsi della propria capacità decisionale, su un
piano di assoluta parità, soprattutto in ordine alla gestione della
bi-genitorialità, è evidente che la Mediazione familiare possa e debba essere
valorizzata come una risorsa per la famiglia e per la stessa società, come
rimedio, o addirittura come strumento di prevenzione di abusi e di violenze di
sorta, nella fase patologica dell’unione coniugale o di fatto, contribuendo, in
tal modo, a ridurre i rischi di agiti che possono arrivare, nei casi più
estremi, fino all’uccisione del partner o della prole o di condotte denigratorie
di un genitore nei confronti dell’altro, nel bieco intento di escluderlo dalla
vita relazionale ed affettiva del comune figlio.
Il Legislatore italiano ha lasciato un grave vuoto normativo non occupandosi
espressamente della materia e non definendo la figura e le competenze del
Mediatore familiare.
Prima della Legge n. 54/06 e dell’introduzione dell’art. 155 sexies c.c., la
Mediazione familiare aveva fatto la sua apparizione nell’ordinamento italiano
con la L. n. 285/1997, recante “Disposizioni per la promozione di diritti e di
opportunità per l’infanzia e adolescenza”, il cui art. 4.1 riconosce i servizi
di mediazione familiare e di consulenza per le famiglie e per i minori come
servizi di sostegno e superamento delle difficoltà relazionali; l’art. 6 prevede
lo sviluppo di servizi volti a promuovere e a valorizzare la partecipazione dei
minori a livello propositivo, decisionale e gestionale in esperienze
aggregative, nonché occasioni di riflessione sui temi rilevanti per la
convivenza civile e lo sviluppo delle capacità di socializzazione e di
inserimento nella scuola, nella vita aggregativa e familiare.
Alla Mediazione familiare fa riferimento anche la L. n. 154 del 4 aprile 2001
in materia di ordini di protezione contro gli abusi familiari, che, come noto,
ha novellato il codice civile, inserendone nel corpus gli artt. 342 bis e 342
ter [7], ed ha introdotto gli artt. 736 bis c.p.c. e 282 bis c.p.p.. Scopo
della L. n. 154/01 è quello di fornire una tutela celere e adeguata a
interrompere il ciclo delle violenze, mantenendo aperto, al contempo, un
percorso di recupero delle relazioni familiari vulnerate. Ne deriva, in termini
sistematici, che l’ordine di protezione va parametrato, quanto alla sua
incidenza, in una prospettiva di positivo recupero, laddove possibile, della
relazione familiare. Dalla locuzione «ove occorra» si deduce che l’applicazione
delle misure stesse sia rimessa alla valutazione libera e insindacabile del
giudice, il quale sarà l’unico interprete della situazione di conflitto, che
giustifica l’an dell’ordine di protezione e il suo
contenuto.
È in questa prospettiva che la normativa in parola faculta il giudice, nel
momento in cui gli concede il potere, di disporre l’intervento dei servizi
sociali, di un centro di mediazione familiare o delle associazioni che abbiano
per statuto finalità di protezione da violenza domestica.
In tal modo si è voluto rendere partecipi tutti quei soggetti che, per
funzione, si occupano di risoluzioni di crisi intrafamiliari, in modo tale che
il provvedimento giudiziale realizzi una protezione integrata della vittima, in
chiave spiccatamente compositiva.
Occorre precisare, tuttavia, che mentre l’ordine di protezione può essere
imposto in via coercitiva, tramite l’ausilio della forza pubblica, la
partecipazione ai programmi di mediazione familiare non solo non può essere
imposta in via coercitiva, ma è produttiva di effetti solo se liberamente
seguita [8].
Dunque, nell’ambito degli ordini di protezione il ricorso alla mediazione
familiare è previsto come eventuale, rimesso al prudente apprezzamento del
Giudice e con finalità riparativa e compositiva di una tranquillità turbata.
Da ultimo, il Legislatore è intervenuto in materia di mediazione familiare con
la L. n. 54/06, mediante l’introduzione dell’art. 155 sexies c.c.: un
intervento normativo tanto atteso quanto criticato, a cominciare dal linguaggio
improprio, in quanto le espressioni “tentare” e “raggiungere un accordo” si
addicono più alla conciliazione che alla mediazione. Inoltre, si parla di
“esperti” e non di mediatori, evidentemente nell’intento di ricondurre la
figura a quelle già esistenti senza creazioneex novo di una nuova professionalità
(ovviamente ai fini processuali e limitatamente al processo). Inoltre, la
mediazione è configurata come strumento per raggiungere un accordo che non può
non essere che quello “di separazione”, il quale rappresenta (pur
alla presenza della mediazione) un negozio di diritto familiare sospensivamente
condizionato alla omologa (condicio
juris di efficacia)
e, quindi, inscindibile dal ruolo del Presidente nella fase presidenziale del
giudizio.
La dottrina [9], peraltro, ha rilevato tutte le difficoltà interpretative
del nuovo istituto non disdegnando l’orientamento che qualifica i
“mediatori” (rectius: gli esperti) come ausiliari del
Giudice.
E, infatti, dal dato normativo – invero alquanto scarno – emerge che la figura
deputata a “mediare” trai coniugi è dotata di particolari competenze
professionali ed assume, di fatto, la qualità di ausiliario del giudice.
Diversi i referenti ermeneutici di siffatta conclusione:
1) La disposizione ex art. 155-sexies c.c. è rubricata “poteri del giudice
ed ascolto del minore”: la scelta discrezionale di far ricorso alla
mediazione va inscritta, pertanto, nel novero dei “nuovi poteri” del
giudicante e un simile inquadramento sistematico richiama immediatamente la
facoltà (rectius: potere) di ricorrere all’assistenza di
organi d’ausilio. Si tratta, cioè, di uno di quei “casi previsti dalla
legge” in cui “il giudice … si può fare assistere da esperti in una
determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento
di atti che non è in grado di compiere da sé solo” (art. 68 c.p.c.,
rubricato, per l’appunto, “altri ausiliari”).
2) Il dato letterale depone nel senso di uno stretto rapporto tra esperti e
giudice, potendosi reputare che i primi agiscano come una vera e propria longa
manus del giudicante:
ed, infatti, la disposizione adotta il verbo “avvalendosi”. Non è
possibile, pertanto, non ricondurre il mediatore all’art. 68 c.p.c. poiché
dalla legge definito, per l’appunto, “esperto” che tenta la
mediazione e non tout court “mediatore” [10].
In campo penale, la mediazione costituisce una delle
manifestazioni più concrete di giustizia riparativa. In Italia la mediazione
penale trova spazio quasi esclusivamente nel processo minorile, attraverso gli
ambiti di discrezionalità concessi al Giudice dagli articoli 9 [11] e 28
[12] del D.P.R. n. 448 del 22 settembre 1988 ( “Disposizioni sul processo
penale a carico di imputati minorenni”) in relazione allo studio della
personalità del minorenne e alla definizione del programma di messa alla prova.
La possibilità del ricorso alla mediazione penale viene espressamente prevista,
tuttavia, solo all’articolo 29, comma 4, del D.lgs. n. 274/2000 [13] sulla
competenza penale del giudice di pace, quale strumento orientato a promuovere
la remissione della querela per i reati che la prevedono e, dunque, la
conciliazione tra le parti.
Nel D.P.R. n. 448/1988 non risulta un esplicito richiamo all’utilizzo delle
tecniche di mediazione, sebbene il ricorso a quest’ultime sia di fatto
consentito in ragione della finalità educativa cui tutto il procedimento
minorile deve tendere, onde facilitare il recupero e il reinserimento del
giovane che delinque. In particolare, è l’articolo 28 del D.P.R. n. 448/1988
che prevede per il giudice la possibilità di indicare, nel provvedimento
sospensivo del processo con cui si dispone la messa alla prova, prescrizioni
«dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione
del minorenne con la persona offesa dal reato». Il deferimento di un caso
concreto all’Ufficio di mediazione è reso possibile, peraltro, già
dall’articolo 9 del D.P.R., che consente al giudice e al pubblico ministero di
raccogliere tutte le informazioni idonee a far luce sulla personalità del
giovane, al fine di predisporre misure adeguate alla prioritaria finalità
educativa.
Al magistrato viene attribuita, in particolare, la possibilità di sentire tutte
le persone che abbiano avuto rapporti con l’imputato. Si prevede, altresì, che
il giudice possa avvalersi del parere di esperti «senza alcuna formalità»
(senza la necessità di disporre una perizia in senso formale).
L’orizzonte della mediazione, con riguardo agli imputati minorenni, si sostanzia,
dunque, in due esigenze: ridurre il più possibile l’intervento del diritto
penale tradizionale e diversificare il procedimento minorile da quello degli
adulti.
Il giudice può dunque rivolgersi agli operatori dell’Ufficio per la mediazione,
già nella fase delle indagini preliminari, al fine di valutare la rilevanza
sociale del fatto ed eventualmente l’opportunità che il giovane si attivi in un
percorso finalizzato a riparare le conseguenze del reato, come pure,
soprattutto, per favorire l’incontro con la vittima, in vista di una
riassunzione delle responsabilità verso quest’ultima e verso l’intera
società [14].
Alla luce del quadro normativo sopra delineato, appare evidente
chel’istituto della Mediazione
familiare, in una prospettivade iure condendo, andrà rivisitato alla luce dei
profondi mutamenti del tessuto sociale, connotato da relazioni
che tanto rapidamente possono rompersi quanto ricostituirsi, sempre più fluide,
o meglio “liquide” per riprendere l’efficace espressione con cui un noto
sociologo, Zygmunt Bauman [15], ha definito la nostra “modernità”, in
quanto le scelte individuali, i comportamenti accettabili, le forme sociali, si
scompongono e si sciolgono rapidamente, non hanno abbastanza tempo per
solidificarsi ed assurgere a modelli di riferimento per l’agire umano.
Dai dati statistici risulta che gli italiani “si sposano di meno e più tardi
rispetto al passato, fanno figli con il contagocce e divorziano facilmente.
Sono sempre meno coppia e sempre più soli, più che single. Uomini e donne,
mariti e mogli, padri e madri si sono dichiarati una stupida guerra di genere
che va fermata prima che sia troppo tardi. Ormai entrambi i sessi rivendicano
una superiorità morale e giocano a fare le vittime, l’uno dell’altro….. dal
1995 a oggi il numero delle separazioni è raddoppiato (+101 per cento) e i
divorzi sono aumentati di oltre una volta e mezza (+61 per cento), quelle di
lunga durata con oltre venticinque anni di matrimonio sono triplicate. La crisi
del settimo anno è solo un ricordo, la durata media del matrimonio, al momento
dell’iscrizione a ruolo del procedimento è risultata pari a quindici anni per
le separazioni e a diciotto anni per il divorzio” [16]. Questo lo spaccato
della realtà sociale italiana tratteggiato nel suo saggio “I Perplessi Sposi”,
da Gian Ettore Gassani, Avvocato matrimonialista e Presidente nazionale
dell’associazione forense Avvocati Matrimonialisti Italiani (A.M.I.), di cui la
scrivente fa parte.
Ed è proprio
raccogliendo le istanze dell’A.M.I. che la scrivente ha elaborato un progetto
di regolamentazione dell’istituto della Mediazione familiare,
in funzione dei seguenti obiettivi:
1. Sostegno e recupero della funzione genitoriale nei casi di separazione e/o
divorzio o, comunque, di crisi di una convivenza more
uxorio, caratterizzati da particolare conflittualità tra i
genitori, che spesso si riflette negativamente sul benessere psico-fisico dei
figli;
2. Garantire un ambiente armonico ed adeguato alla crescita psico-fisica del
minore;
3. Offrire sostegno socio-psicologico al minore ed alla famiglia;
4. Promuovere il riavvicinamento del minore al genitore non “collocatario”,
favorendo rapporti significativi con entrambe le figure genitoriali e
l’effettiva estrinsecazione della bigenitorialità, nonché con i parenti di
ciascun ramo genitoriale;
5. Facilitare le interazioni familiari ed aumentare nella coppia la capacità di
ascolto e di accoglimento e comprensione delle esigenze dei minori;
6. Promuovere e diffondere una cultura della mediazione familiare nei luoghi
della socialità, nelle scuole, presso i consultori familiari, inserendola
nell’ambito delle Politiche sociali, nell’alveo di un intervento più
complessivo di sostegno alle “normali” criticità quotidiane delle famiglie,
alla fisiologicità dell’esperienza della crisi come possibilità del vivere
contemporaneo;
7. Favorire l’interazione e la cooperazione tra le varie competenze che operano
nel campo delle politiche sociali, della famiglia e dei minori (per es. con i
Consultori familiari, i Servizi Sociali, gli assessorati degli Enti locali).
Si rende dunque necessario, anzitutto, inquadrare normativamente la Mediazione
Familiare, definendone l’ambito operativo, istituendo la figura professionale
del Mediatore Familiare, quale professionista in possesso di requisiti ben specifici,
accertati e riconosciuti mediante l’iscrizione in un apposito Albo dei
Mediatori Familiari, disciplinandone gli ambiti di competenza. Ciò nella
prospettiva di garantire la professionalità di chi si qualifica Mediatore
Familiare ed esercita la professione come tale; il che impone l’elaborazione di
un Codice deontologico del Mediatore Familiare, con un’elencazione di obblighi,
sanzionabili in ipotesi di violazione, e l’introduzione di un Tariffario che
renda trasparente all’utenza l’accesso al percorso di Mediazione Familiare.
Non a caso il tema affrontato con questo contributo è quello dellariforma dell’istituto della Mediazione familiare e non della relativa disciplina
normativa, che, come detto, difetta, allo stato, di una codificazione organica.
Qui di seguito i punti principali della proposta di legge in tema di mediazione
familiare:
A) –Definizioni –
1) La “Mediazione Familiare” è un percorso attraverso il quale i coniugi, in
procinto di separazione, già separati o divorziati, o i conviventi more
uxorio nella fase
patologica della loro unione, in un ambiente neutrale, hanno la possibilità di
negoziare le questioni inerenti agli aspetti relazionali e interpersonali che
ne discendono, con particolare riguardo alla gestione del rapporto
genitori/figli;
2) “Obiettivo del percorso di Mediazione Familiare” è raggiungere un accordo
finale, teso a ristabilire la comunicazione interrotta tra i coniugi o tra i
conviventi more uxorio, ripristinando il dialogo tra loro, attraverso tecniche
atte a rendere la coppia in crisi partecipe, in eguale misura e su un piano di
assoluta parità, di scelte condivise da entrambi sulle questioni di carattere
personale e relazionale che ne discendono, con particolare riguardo alla
gestione del rapporto genitori/figli;
3) E’ “Mediatore familiare” una terza persona imparziale, qualificata e con
formazione specifica che agisce in modo tale da facilitare la risoluzione di
una disputa riguardante questioni familiari, relazionali e/o organizzative
concrete, in un processo informale il cui obiettivo è di aiutare le parti in
lite a raggiungere un accordo direttamente negoziato, applicandosi affinché
l’autorità decisionale resti alle parti [17].
B) – Disciplina
della professione del Mediatore Familiare –
1) Il Mediatore Familiare deve avere una formazione pedagogica, psicologica,
sociologica e giuridica in materia di diritto di famiglia, che andrà conseguita
mediante corsi accreditati dal Forum Europeo [18] e può avvalersi,
nell’espletamento della sua attività, di altre figure professionali, quali il
neuropsichiatra o lo psicoterapeuta, al fine di meglio perseguire l’ “Obiettivo
del percorso di Mediazione Familiare”, di cui al punto A 2;
2) Viene istituito un Registro professionale dei Mediatori Familiari, al quale
i Mediatori Familiari, in possesso dei prescritti requisiti, devono essere
iscritti per l’esercizio della loro professione;
3) Viene istituito un Ordine dei Mediatori Familiari, con funzione di controllo
e di garanzia sulla professionalità e sul possesso dei requisiti prescritti per
l’esercizio della professione di Mediatore familiare;
4) I Mediatori Familiari sono tenuti al rispetto del “Codice deontologico dei
Mediatori Familiari”, con la previsione di obblighi e sanzioni, anche di
carattere disciplinare, informato ai principi di probità, professionalità,
conoscenza approfondita della materia giuridica e competenza specialistica in
materia psicosociale e psicopedagogica, con l’espressa previsione che il
Mediatore, a garanzia del proprio ruolo di soggetto terzo ed imparziale non può
e non deve intervenire in mediazioni che coinvolgono persone con cui vi sia
stato un precedente legame personale (familiari, amici, colleghi); non può e
non deve erogare prestazioni che esulino dall’ambito specifico della mediazione
familiare; ha l’obbligo di informare le parti che richieste di intervento o
supporto d’ordine legale e psicoterapeutico devono essere indirizzate a
specialisti dei rispettivi campi;
5) Viene istituito un Tariffario dei Mediatori Familiari, nel rispetto dei
principi di trasparenza e accessibilità per l’utenza e di congruità in
relazione all’attività professionale svolta;
6) Il Mediatore Familiare dovrà operare nell’ambito di un Centro di Mediazione
Familiare, pubblico o privato.
C) – Al fine di
rendere possibile le finalità della Mediazione Familiare si rende necessariode iure condendo:
– Definire forme di collaborazione che consentano di ottimizzare ed integrare
le specifiche competenze dei diversi ambiti professionali sulla base dei
rispettivi codici deontologici, individuando ad esempio: a) le finalità comuni
(in particolare, la tutela dell’interesse della prole); b) la specificità del
ruolo dell’avvocato e del mediatore; c) le modalità dell’invio da mediatore ad
avvocato e viceversa, promuovendo a tal fine la formazione e l’aggiornamento
professionale, anche condiviso, per avvocati specialisti in diritto di famiglia
e mediatori familiari.In proposito, nel definire i
diversi ambiti di competenze tra Avvocati e Mediatori familiari sarebbe utile
evidenziare,expressis verbis, che l’attività del Mediatore
familiare non può e non deve sostituirsi all’attività professionale
dell’Avvocato nelle vicende separative delle coppie in conflitto, avendo lo
scopo e la funzione, non di ricomporre la coppia, ma di ristabilire un canale
di comunicazione tra i coniugi o tra i partner e di accompagnarli in un
percorso che è, per così dire, parallelo ma non sostitutivo né alternativo
all’intervento ed alla presenza del legale, sempre necessaria ed
indispensabile. Del resto la stessa Raccomandazione n. R(98), contenuta nella
Risoluzione n. 616 del 21.01.1998 adottata dal Comitato dei Ministri del
Consiglio d’Europa, prevede espressamente che il Mediatore familiare possa
fornire informazioni di carattere legale ma non possa prestare consulenza legale.
– Dotare i Servizi e gli Uffici giudiziari (Tribunali civili e penali,
Tribunale per i Minorenni, Procura) di un elenco di Centri di Mediazione
Familiare ed istituire, almeno, presso ciascun distretto di Corte di Appello un
Centro di Mediazione Familiare gratuito.
– Rendere la Mediazione familiare un percorso obbligatorio e gratuito nei casi
in un cui sia proposto un giudizio di separazione personale dei coniugi, di
scioglimento o di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio,
o un procedimento ex art. 317 bis c.c. relativo all’affidamento ed al
mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio, quando vi sia conflittualità
nella coppia.
A tal fine, potrebbe essere inserito un passaggio procedimentale: un paio di
incontri preliminari tra i coniugi o tra i partner in conflitto ed il Mediatore
familiare, tesi, da un lato, a chiarire le modalità e gli obiettivi del
percorso mediativoin fieri e, dall’altro, a consentire al
Mediatore di valutare la mediabilità della coppia e, dunque, la concreta possibilità
di proseguire il percorso di mediazione familiare. Così strutturata, la
Mediazione familiare potrebbe rivelarsi una risorsa fondamentale sia per la
coppia genitoriale disponibile a proseguire il percorso, sia per gli
inevitabili effetti deflattivi del contenzioso in ambito familiare che ne
discenderebbero.
Il percorso di mediazione familiare dovrebbe essere teso al raggiungimento di
un accordo della coppia in ordine all’affidamento dei figli, alla loro
educazione, alla gestione del tempo libero, ai ritmi delle giornate, alle
attività sportive, ludiche e ricreative, agli incontri con persone
significative per la crescita dei figli medesimi, al mantenimento della prole
ed all’assegnazione della casa coniugale (c.d. Mediazione parziale).
Tutti gli aspetti concernenti la divisione dei beni della coppia ed altre
condizioni economiche dovrebbero essere negoziati tra le parti con l’assistenza
degli avvocati, soprattutto in presenza di patrimoni ingenti, che impongono la
risoluzione di questioni tecnico-giuridiche particolarmente complesse, che,
talvolta, esigono il coinvolgimento anche di altre figure professionali
specialistiche (per es. commercialista, notaio, fiscalista, tributarista) [19].
– Prevedere che il Centro di Mediazione Familiare accolga nel suo ambito uno
spazio dedicato ai c.d. “Gruppi di parola”. Si tratta di un’esperienza, già
sperimentata in alcune Regioni italiane, aperta ai figli di coppie in fase di
separazione o già separate. Si strutturano in cicli di incontri informali con
coetanei, che sviluppano un senso di appartenenza e di coesione, stimolando
l’espressione di sentimenti e comportamenti autentici, diminuendo i timori dei
figli di fronte ai sensi di colpa e di responsabilità correlati alla vicenda
separativa dei genitori, favorendo un contatto con altri bambini che
condividono le stesse emozioni e gli stessi stati d’animo, dando loro la
possibilità di esprimersi con la massima libertà, al di fuori degli incontri
con i genitori, e con il necessario rispetto per la riservatezza. Sarebbe,
pertanto, utile prevedere la creazione in ogni Centro di mediazione Familiare,
pubblico o privato, di tali “Gruppi di parola” che, in presenza del Mediatore
familiare, siano in grado di instaurare un dialogo aperto con i bambini e con
gli adolescenti, sappiano porli di fronte alla nuova realtà determinata dalla
divisione dei genitori, in modo non traumatico, al fine di superare le
difficoltà che spesso occorre affrontare in tali circostanze.
Nella prospettiva di una rivisitazione dell’istituto della Mediazione
familiare non ci si può, infine, non interrogare sulla possibilità di ricorrere
allo stesso nei casi di violenza intrafamiliare,
sia essa violenza psicologica – caratterizzata da minacce verbali,
denigrazioni, svalutazioni che la persona esprime nei confronti del/la
proprio/a partner -; violenza fisica; violenza sessuale, violenza economica,
violenza assistita – forma di violenza domestica, quest’ultima, purtroppo assai
diffusa, che consiste nell’obbligare un minore ad assistere (da qui il termine “assistita”)
a scene di aggressività o violenza verbale, fisica, sessuale tra persone che
costituiscono per lui un punto di riferimento o su persone a lui legate
affettivamente, che siano adulte o minori. La violenza assistita, in quanto
maltrattamento psicologico, comporta effetti a livello emotivo, cognitivo,
fisico e relazionale, anche particolarmente gravi per il minore che la subisce.
Le cronache nazionali portano quotidianamente alla ribalta tristi vicende di
violenze, di maltrattamenti e di abusi che si consumano tra le mura domestiche.
I dati statistici registrano un aumento impressionante dei casi di violenza in
famiglia, che risultano lievitati del doppio in dieci anni; il 7% delle
violenze subite viene denunciato; nel 40% dei casi le vittime avevano sporto
denuncia, ma poi sono state uccise dal proprio carnefice.
La Convenzione di Istanbul [20], recentemente ratificata dall’Italia
all’unanimità, ha tracciato le linee guida in tema di protezione delle donne da
ogni forma di violenza e di prevenzione della violenza contro le donne e, più
in generale, della violenza domestica, definita quest’ultima come comprensiva
di “tutti gli atti di
violenza fisica, sessuale, psicologica o economica che si verificano
all’interno della famiglia o del nucleo familiare o tra attuali o precedenti
coniugi o partner, indipendentemente dal fatto che l’autore di tali atti
condivida o abbia condiviso la stessa residenza con la vittima”.
Tra gli obiettivi della Convenzione, fondamentale è quello di “predisporre un quadro globale,
politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime
di violenza contro le donne e di violenza domestica”. E’, inoltre,
espressamente previsto l’obbligo per gli Stati aderenti di predisporre misure
legislative o di altro tipo che includano, tra l’altro, consulenze legali ed un
sostegno psicologico alle vittime di violenza, un supporto per superare il
trauma e dei consigli.
In tale ambito, le pratiche di mediazione diventano uno spazio potenziale per
pensare a soluzioni che altrove non sono possibili.
Il Prof. Adolfo Ceretti, in un suo contributo [21], ha rappresentato con
chiarezza il bisogno di protezione che si alimenta nell’intimo di chi ha subito
un abuso o una violenza tra le mura domestiche; bisogno dal quale occorre muovere
necessariamente al fine di predisporre adeguati strumenti di supporto, anche
psicologico, in favore delle vittime di violenza intrafamiliare.
Per queste ultime, infatti, avere uno spazio protetto per raccontarsi ed essere
ascoltate e riconosciute può essere un’esperienza “ri-fondativa”. Un elemento
molto importante nella filosofia della mediazione è proprio quello di dare
spazio alle voci in-ascoltate. Le famiglie violente sono luoghi dove per
antonomasia i gesti di spregio si sostituiscono alle parole. L’ascolto
reciproco di un racconto svolto in mediazione arriva invece a conferire alle
parti un potere (inedito) positivo (empowerment). Ciò che le donne che hanno
subito violenza narrano in mediazione fa spesso riferimento, infatti, ai
sentimenti di perdita di fiducia nelle relazioni più intime, o di perdita del
senso ontologico di sicurezza negli spazi familiari.
Riacquistare potere rispetto alla gestione e alla sicurezza della propria vita
quotidiana non può prescindere da un’esperienza di base: “ri-collocarsi” al
centro degli eventi in una posizione attiva, provando a iniziare a controllare
la situazione narrando la propria storia a partire dalla propria versione, e
attraverso il proprio linguaggio. La storia non sarà vagliata e valutata da un
giudice, ma raccontata (e ascoltata) facendo ricorso alle forme discorsive
usate nelle conversazioni quotidiane.
In mediazione, inoltre, al reo non è dato di “ignorare” la vittima, come può
avvenire invece nelle aule dei tribunali. La vittima si colloca ed è al centro
della storia, e le sue argomentazioni non sono confinate agli aspetti più
interni della vicenda che ha condotto alla denuncia del reo, ma compartecipate
sul palcoscenico della mediazione.
Dal punto di vista della rottura dei dinieghi e delle negazioni, la mediazione
aiuta poi a considerare la parte offesa una persona “vera”, portatrice di
valori, idee, emozioni diversi da quelli attribuitile dagli stereotipi, o dalle
fantasie e dalle menzogne del perpetratore.
Naturalmente non tutti i casi di violenza intrafamiliare filtrati da questo
approccio metodologico possono concludersi con una buona riuscita della
mediazione, rivelandosi necessari in siffatte ipotesi il supporto di altre
competenze professionali specialistiche ed interventi specifici. Ciò accade quando
chi ha commesso la violenza non è disponibile a seguire un percorso di
mediazione o nelle relazioni in cui il dominio fisico dell’uomo sulla donna è
solo una delle modalità attraverso le quali si estrinseca la relazione di
potere/soggezione dell’uno rispetto all’altra.
Tuttavia, si potrebbe prevedere, de iure condendo, che
a seguito di una denuncia per maltrattamenti contro familiari e/o conviventi,
per violenze e abusi sui minori, per minaccia o per atti persecutori in danno
del coniuge o del convivente, il Procuratore della Repubblica presso il
Tribunale competente nomini un Mediatore familiare iscritto nell’apposito Albo
ed operante nell’ambito del Centro di Mediazione familiare istituito presso
l’Ufficio giudiziario o il distretto di Corte di Appello, al fine di valutare
il grado di conflittualità della coppia, monitorare il rapporto genitori/figli,
individuare eventuali margini di disponibilità della coppia medesima ad
intraprendere un percorso mediativo o, in difetto, segnalare interventi specifici
a sostegno ed a tutela della persona offesa.
Potrebbe essere questa una delle modalità, unitamente ad altri interventi di
politica legislativa e sociale comunque necessari, per fornire un supporto
concreto, anche di ordine psicologico, alle vittime delle denunciate violenze.
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Note:
[1] Citazione di Confucio, filosofo (551 a.C. – 479 a.C.).
[2] Albert Einstein (1879-1955)
[3] Storicamente, i programmi più attendibili e diffusi di mediazione familiare nascono negli Stati Uniti d’America e in Canada agli inizi degli anni ’70, grazie all’opera di Jim Coogler, Avvocato di Atlanta, soggetto ed oggetto di un divorzio belligerante, costatogli molte sofferenze anche in termini di energie e denaro. Coogler, proprio a seguito della sua esperienza personale, riflettendo anche come Avvocato sull’alto numero di divorzi negli Stati Uniti d’America e considerando l’elevato costo in termini economici e di tempo di ogni causa di divorzio, si impegnò a costruire una “pratica” in grado di aiutare uomini e donne, “investiti” dalla fine di un matrimonio, principalmente finalizzata al superamento della logica vincitori-vinti. Da allora la mediazione, lentamente e progressivamente, ha cominciato a diffondersi anche in Europa dando vita a tutta una serie di Movimenti Culturali e Associazioni che la praticano con successo, cercando anche di diffonderla. In Europa la mediazione familiare approda grazie al contributo di Lisa Parkinson, assistente sociale presso il Servizio per la tutela dell’Infanzia del Tribunale di Bristol, alla quale si deve sia la nascita sia il coordinamento del Bristol Family Mediation Service – il primo servizio di mediazione familiare del Regno Unito, ove operò dal 1979 al 1983 – sia la creazione dello European Forum For Family Mediation Training and Research e del World Mediation Forum, due tra le principali, fra le numerose iniziative formative cui ha dato impulso, al di fuori dei confini nazionali. Ispirandosi al proprio lavoro di assistente sociale, costantemente chiamata a collaborare con operatori giuridici – avvocati e magistrati – coinvolti nelle procedure di divorzio, Lisa Parkinson comprese di dover adattare alla loro mentalità le prassi sviluppate nel corso di un’attività – fino ad allora poco nota ai giudici – caratterizzata dall’ascolto empatico e, dunque, da un’estrema attenzione alle motivazioni sottese alle diverse posizioni dei componenti della coppia. Al contempo, avvertì l’esigenza di sollecitare l’adozione, da parte di chi avesse una formazione giuridica, di nuove metodologie, per poter trattare più efficacemente ed equamente le questioni legate al divorzio. Obiettivo da perseguire sarebbe stato quello di ripristinare il dialogo fra le parti per consentire alle stesse di definire personalmente i profili più spinosi, quali l’affidamento dei figli minori d’età e l’eventuale divisione dei beni comuni. In Italia nel 1987 nasce la G.E.A., Associazione Genitori Ancora, grazie all’impegno di Fulvio Scaparro e Irene Bernandini, psicologici e C.T.U., che promuovono l’ingresso della ‘cultura’ della mediazione familiare in Italia. Rispettivamente nel 1989 e nel 1995 sono istituiti il Centro Genitori Ancora, il primo centro di mediazione familiare in Italia, e la Società Italiana di Mediazione Familiare, preposta al coordinamento delle iniziative dei mediatori in Italia con gli standard professionali e deontologici europei.
[4] L’art. 155 sexies c.c., introdotto dalla L. 8 febbraio 2006 n. 54 (recante “Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli”), al secondo comma recita testualmente: “Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’art. 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli”.
[5] MAGLIETTA M., La mediazione familiare resta una scommessa da giocare con convinzione, Famiglia e Minori, 01.01.2008, 1, 8.
[6] In particolare, nel 1992 è stata redatta la “Charte Europèenne de la formation de mèdiateurs familiaux exercant dans les situaztions de divorce et de sèparation”, a cura della Commissione sulla formazione del mediatore familiare e promossa dall’Association pour le Promotion de la Mediation Familiale (A.P.M.F.) di Parigi. Alla Carta Europea aderiscono numerosi Paesi, quali la Germania, Belgio, Francia, Gran Bretagna, Italia, Svizzera. La “Convenzione europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo”, adottata dal Consiglio d’Europa a Strasburgo nel 1996 e ratificata in Italia con la L. 20 marzo 2003 n. 77, ha segnato una fase fondamentale nel percorso di diffusione e valorizzazione della mediazione familiare. Infatti, all’art. 13 dispone: “Al fine di prevenire o di risolvere i conflitti, e di evitare procedimenti che coinvolgano minori dinanzi ad un’autorità giudiziaria, le Parti incoraggiano il ricorso alla mediazione e a qualunque altro metodo di soluzione dei conflitti atto a concludere un accordo, nei casi che le Parti riterranno opportuni”. Ancora, con la Raccomandazione del Consiglio d’Europa sulla mediazione familiare del 21 gennaio 1998, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, richiamando proprio l’articolo 13 della suddetta Convenzione, invitava “gli Stati membri a promuovere e rinforzare la mediazione familiare”, dando precise indicazioni sulla sua area d’azione, sull’organizzazione dei servizi, sui metodi, etc. Infatti, al Principio III (ix) si legge: “Il mediatore dovrà mettere una particolarissima attenzione per conoscere se vi sono state violenze tra le parti o se queste sono suscettibili di riprodursi nel futuro e quali effetti potrebbero avere sulla situazione delle parti nella negoziazione, ed esaminare se, in queste circostanze, il procedimento di mediazione sia appropriato”. Al Principio III (viii), invece, si legge: “Il mediatore dovrà avere più in particolare a cuore l’interesse superiore del fanciullo, dovrà incoraggiare i genitori a concentrarsi sui bisogni del fanciullo e dovrà ricordare ai genitori la loro responsabilità primordiale, trattandosi del benessere dei loro figli e della necessità che essi hanno di informarli e consultarli”. Specifica tutela dei diritti del bambino è riconosciuta anche nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, proclamata a Nizza il 7 dicembre del 2000, che all’art. 24, comma 3, statuisce: “Ogni bambino ha diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali e contatti diretti con i due genitori, salvo qualora ciò sia contrario al suo interesse.” Per completare la panoramica delle disposizioni dell’Unione sulla mediazione familiare e sulla tutela dei minori, non può non menzionarsi la Convenzione sulle Relazioni Personali che Riguardano i Fanciulli, sottoscritta a Strasburgo il 15 maggio 2003, che all’articolo 7 rubricato “Risoluzione delle controversie in materia di relazioni personali”, dispone: “[…] b. Quando bisogna risolvere delle controversie in materia di relazioni personali, le autorità giudiziarie devono adottare tutte le misure appropriate: per incoraggiare i genitori e le altre persone che hanno dei legami familiari con il fanciullo a raggiungere degli accordi amichevoli a proposito delle relazioni personali con quest’ultimo, in particolare facendo ricorso alla mediazione familiare e ad altri metodi di risoluzione delle controversie.” Infine, ma non da ultimo, la Raccomandazione n. 1639/2003 dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa del 25 novembre 2003, recepita dal Comitato dei Ministri (del Consiglio d’Europa) il 16 giugno 2004, ribadisce il valore della mediazione familiare e la necessità in questo ambito di ascoltare i minori per garantirne i diritti, invitando gli Stati ad implementarne i principi ed a promuoverne l’utilizzo. All’art. 1 si legge: “La mediazione familiare è un procedimento di costruzione e di gestione della vita tra i membri d’una famiglia alla presenza d’un terzo indipendente ed imparziale chiamato il mediatore. [..] Compito del mediatore è di accompagnare le parti della mediazione in un procedimento fondato verso una finalità concordata innanzitutto tra loro. L’obiettivo della mediazione è di giungere ad una conclusione accettabile per i due soggetti senza discutere in termini di colpa o di responsabilità. L’accordo raggiunto è ritenuto idoneo ad una pacificazione e ad un miglioramento duraturi della relazione tra i coniugi.” Ancora, all’art. 7 si legge: “Lo scopo principale della mediazione non è quello di alleggerire il carico dei tribunali, ma di ristabilire, con l’aiuto di un professionista formato nella mediazione, la carenza di comunicazione tra le parti”.
[7] Art. 342 ter, comma 2, prima parte, c.c.: “Il giudice può disporre, altresì, ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonchè delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati”.
[8] GRECO A., Violenze in famiglia e ordini di protezione, Ventiquattrore Avvocato, 1.01.2009, 1, 8.
[9] PETITTI C., Il mediatore familiare come ausiliario del giudice, in Famiglia e diritto, 1/2006, p. 85 ss.
[10] SPADARO G., La mediazione familiare nel rito della separazione e del divorzio, in www.altalex.com.
[11] Art. 9 del D.P.R. n. 448/1988: “1. Il pubblico ministero e il giudice acquisiscono elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità, valutare la rilevanza sociale del fatto nonché disporre le adeguate misure penali e adottare gli eventuali provvedimenti civili. 2. Agli stessi fini il pubblico ministero e il giudice possono sempre assumere informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e sentire il parere di esperti, anche senza alcuna formalità”.
[12] Art. 28, comma 2, D.P.R. n. 448/1988: “Con l’ordinanza di sospensione il giudice affida il minorenne ai servizi minorili dell’amministrazione della giustizia per lo svolgimento, anche in collaborazione con i servizi locali, delle opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno. Con il medesimo provvedimento il giudice può impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato”.
[13] Art. 29, comma 4, D.Lgs. n. 274/2000: “Il giudice, quando il reato è perseguibile a querela, promuove la conciliazione tra le parti. In tal caso, qualora sia utile per favorire la conciliazione, il giudice può rinviare l’udienza per un periodo non superiore a due mesi e, ove occorra, può avvalersi anche dell’attività di mediazione di centri e strutture pubbliche o private presenti sul territorio. In ogni caso, le dichiarazioni rese dalle parti nel corso dell’attività di conciliazione non possono essere in alcun modo utilizzate ai fini della deliberazione”.
[14] RIONDINO M., Vent’anni di Convenzione fanno più spazio ai diritti del fanciullo, Famiglia e Minori, 1.11.2009, 10, 83.
[15] ZYGMUNT BAUMAN, Modernità liquida, ed. Laterza, Roma 2002.
[16] GASSANI GIAN ETTORE, I Perplessi Sposi, Aliberti editore, 2011, 27 ss.
[17] Tale è la definizione di Mediatore familiare data dall’ A.I.Me.F. (Associazione Italiana Mediatori Familiari), inserita nell’elenco delle Associazioni Professionali ex art. 2, comma 7, della Legge n.4/2013 (“Disciplina delle professioni non organizzate in ordini”).
[18] Il FORUM EUROPEO, organismo di formazione e di ricerca per la Mediazione Familiare e le Mediazioni è una Associazione senza scopo di lucro, a norma della legge 1901 francese, che riunisce in sé organizzazioni nazionali, regionali e locali di differenti Paesi europei, che formano alla Mediazione familiare nel campo della separazione, del divorzio, della tutela dell’infanzia e dell’adolescenza, dei conflitti familiari; ed alla Mediazione nel campo dell’incomunicabilità e delle situazioni conflittuali tra persone o gruppi, tra istituzioni o imprese. Il FORUM EUROPEO è stato creato nel 1996 da mediatori familiari e formatori provenienti da differenti Paesi europei che si sono riuniti per lavorare insieme con il coordinamento della sezione formazione dell’APMF ( all’epoca Associazione per la Promozione della Mediazione Familiare francese). Oggi il FORUM EUROPEO è completamente indipendente e dal 2012 si è aperto dall’area della mediazione familiare per integrare tutti i campi della mediazione: scolastica, internazionale, d’impresa, sanitaria, del lavoro, civile, giudiziaria, istituzionale, ecc.. Attualmente lo scopo del FORUM EUROPEO è quello di promuovere, sviluppare e coordinare la formazione e la ricerca nel campo della mediazione familiare, della mediazione familiare internazionale e di altre tipologie di mediazione, elaborando degli standard di qualità nella formazione e nella pratica della mediazione familiare, della mediazione familiare internazionale e più in generale della mediazione in Europa. OBIETTIVI : a) Riunire i Centri di formazione che erogano formazione alla mediazione familiare e alla mediazione familiare internazionale e sollecitarli ad operare in uno spirito di cooperazione interdisciplinare, rispettando le specificità nazionali e culturali; b) riunire i referenti e i responsabili per la formazione negli altri ambiti della mediazione e sollecitare anch’essi a operare in uno spirito di cooperazione interdisciplinare, nel rispetto delle specificità nazionali e culturali; c) stabilire dei criteri sui contenuti della formazione ed accompagnare la loro attuazione; d) promuovere la professionalità dei mediatori familiari, dei mediatori familiari internazionali e degli altri mediatori attraverso la formazione continua; e) favorire, nella formazione iniziale ed in quella continua, gli scambi di esperienze di mediazione in differenti contesti; f) offrire uno spazio strutturato, che favorisca la riflessione e la ricerca in mediazione familiare e mediazione familiare internazionale nelle situazioni di conflitto coniugale, genitoriale, familiare, che riguardano l’infanzia e l’adolescenza, l’intergenerazionale e il trans generazionale, e in tutti gli altri campi della mediazione in connessione con la scuola, l’impresa, la giustizia, le istituzioni; g) Sviluppare relazioni e partenariati con le organizzazioni europee e internazionali coinvolte nella messa in atto di servizi di mediazione.
[19] Si segnala in proposito un ambizioso progetto di Mediazione familiare sperimentato dal Tribunale di Lamezia Terme, nella persona del Presidente Dott. Giuseppe Spadaro, con l’obiettivo di fornire ai cittadini del territorio lamentino un’opportunità in più rispetto ad altri territori del nostro Paese: si tratta di un servizio specializzato gratuito di Mediazione familiare, istituito all’interno del Tribunale medesimo, rivolto alle coppie di genitori separati o in via di separazione, che abbiano inoltrato istanza di separazione presso il Tribunale di Lamezia Terme e che evidenziano serie difficoltà a riorganizzare la propria vita in termini costruttivi, a causa dell’evento separativo, con inevitabili conseguenze dannose per i figli.
[20] Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica.
[21] CERETTI A. (Professore ordinario di Criminologia all’Università degli Studi di Milano – Bicocca Coordinatore scientifico dell’Ufficio di Mediazione Penale di Milano), Violenza intrafamiliare e mediazione, in http://www.ipan.org.br/arquivos/artigos/Violenza%20Intrafamiliare